sabato 6 febbraio 2016

Good Morning Vietnam - Part 1

28 Ottobre 2015

Ed eccoci qua..
Seduto su quell'aereo che mi porterà in un altro continente e perché no, in un'altra realtà.
Primo scalo a Kuala Lumpur in Malesia, dove sono arrivato alle prime ore dell'alba; già mi sentivo straniero ed è forse brutto dirlo, ma anche diverso… per la prima volta eri tu quello con gli occhi puntati addosso.
Gli occidentali si contavano sulle dita delle mani. Non ero mai stato circondato da così tanti asiatici, né da così tante lingue al di fuori dell'italiano e dell'inglese.
Ci ho passato giusto alcune ore prima di salire di nuovo su un altro aereo, questa volta con direzione Hô Chì Minh, Vietnam.





29 Ottobre 2015

Un viaggio di poche ore terminato sulla regione del Delta del Mekong che con le sue acque fangose sfocia nel Mar Cinese meridionale dopo aver attraversato praticamente l'intera Indocina partendo dagli altopiani tibetani.
Non mancava molto ad Hô Chì Minh ma già si poteva notare l'avvicinarsi di una grande città. A poco a poco i corsi d'acqua, i campi e le risaie stavano lasciando il posto alle baraccopoli, alle case e in fine ai palazzi. Le strade erano invase da una fila continua di formiche che formavano delle scie confuse. Erano pullman, camion ma soprattutto motorini.
Infine sono atterrato; ad attendermi all'aeroporto ci sarebbe stato un responsabile dell'ostello che mi avrebbe accompagnato fino a Saigon, il centro di Hô Chì Minh.





Come si sono aperte le porte dell'aeroporto, mi son sentito travolgere da un'aria pesante, soffocante e umida. Good Morning Vietnam. Ben tornato sudore…

All'uscita, un'infinità di vietnamiti che tenevano tra le mani un nome e tra questi ecco spuntare anche il mio. Mi sono avvicinato sorridente al ragazzo allungandogli la mano in segno di saluto e chiedendogli come stesse. Mi ha sfiorato la mano quasi sorpreso del mio gesto con un espressione fredda. L'unica risposta è stata <<No english>>; si iniziava bene.
Saremmo rimasti più di mezz'ora in mezzo al traffico di Hô Chì Minh senza mai spiccicare una parola. Ogni tanto provavo a fargli qualche domanda ma tra di noi non c'era modo di comunicare. Il nostro silenzio era interrotto solo dal suo tossire e dal suo ispirare forte, dal suo cellulare che squillava ogni due secondi a cui ovviamente rispondeva.
Ma non erano quelli i rumori a darmi veramente noia. Quello che stava succedendo fuori da quell'auto era molto di più. Eravamo bloccati nel traffico vietnamita. Quella incomunicabilità era interrotta da un'infinità di clacson, ma che dico, da un unico fortissimo frastuono prodotto da migliaia e migliaia di motorini e auto che sbucavano e sfrecciavano da e in ogni direzione.
La mia testa stava scoppiando. Quell'infinito e stupido suono elettrico, i versi dell'autista che nel frattempo si infilava le dita nel naso senza il minimo imbarazzo, il caldo atroce fuori dai nostri finestrini e l'insopportabile aria condizionata all'interno dell'auto. In quel preciso istante avevo voglia di urlare e premere un pulsante rosso con scritto in chiari caratteri bianchi STOP e porre fine a tutto quel fracasso. Chi me l'aveva fatto fare? Ero finito in una città, per di più invasa dal traffico e dallo smog.
E proprio quando stavo per premere il grilletto della pistola puntata alla mia testa, ecco apparire di fronte a me la scritta Vietnam Inn Saigon; ero arrivato in ostello.




Ero di nuovo in mezzo ad altri backpackers, di nuovo in mezzo ad altri ragazzi giovani che come me avevano uno zaino in spalla.
Il mio umore è cambiato in un istante al primo sorriso pieno di gioia della ragazza alla reception. Finalmente qualcuno con cui poter condividere la mia emozione per una nuova avventura.

Ero a dir poco stanco ma non avevo tempo da perdere. Avevo più o meno quattro settimane di tempo per realizzare il mio obiettivo. Quattro settimane per far il giro completo del Vietnam da sud a nord. Dovevo trovar una moto il prima possibile e lasciare quella città che solo dopo poche ore mi stava già soffocando. 






Parlando con alcuni ragazzi ero venuto a sapere che in tutti gli ostelli c'era sempre qualche backpackers in procinto di partire e quindi che vendeva la moto, bastava solo dare un'occhiata alle bacheche e sperare di trovar qualche annuncio.
Non è stato facile. Diverse mote erano già state vendute, alcune costavano troppo, altre erano in condizioni incerte. Non saltava fuori niente di buono. 
Mi son confrontato con diversi ragazzi che erano a termine della loro avventura; in tanti mi hanno dato suggerimenti sui prezzi e sulle cose da tener in considerazione per acquistare un'ottima moto. 
Apriamo una parentesi: mai pensavo che in Vietnam ci fossero così tanti ragazzi stranieri e soprattutto mai avrei pensato ci fosse tra di loro un così ampio mercato di moto.
Se devo far un paragone, è come per i van in Australia. Qua invece si parla di due ruote con un motore che non supera i 110cc. Nella maggior parte dei casi sono Honda Win che avranno probabilmente trent'anni, con motori e telai completamente riverniciati che gli danno un aspetto pulito e moderno ma che in realtà nascondono sotto pezzi usurati e non originali. Moto a quattro marce con un contachilometri azzerato ma che in realtà si porta in groppa miglia di chilometri e altrettanti ne porterà. Il range medio per una buona moto va dai 200 ai 300 dollari americani. L'unico documento è la cosiddetta "blue card" il quale attesta che la moto è tua, sebbene sul foglio ci sia il nome di un perfetto sconosciuto vietnamita.

In tutto ciò non avevo ancora mangiato ed erano oramai le sette di sera.
ll traffico a poco a poco stava diminuendo e le strade del centro si facevano sempre più piene di bancarelle e turisti. Saigon by night stava aprendo le porte al pubblico.
Mi son fermato in una sorta di ristorante dove il proprietario inglese mi ha gentilmente lasciato un biglietto con un frase in vietnamita per dire <<Io sono vegetariano>>; sembrava strano ma qui, ovunque andavi, avevi la possibilità di scegliere piatti vegetariani.







Son tornato in ostello un po' affranto. La prima giornata non era andata a buon fine. Avevo visto ben poco della città e non avevo trovato nessuna moto.
Ma poi, all'ingresso, ferma nel parcheggio, ho visto una moto. Rossa fuoco con un drago nero disegnato sul serbatoio. Che tamarrata. Eppure era in ottime condizioni e aveva un portapacchi diverso da tutte le altre. Un portapacchi che si apriva su entrambi i lati. Era perfetto per il mio zaino, forse fin troppo grosso, ma che poi si è dimostrato essere essenziale. Sul lato aveva anche un caricatore USB connesso alla batteria e sul manubrio un porta cellulare per usare il GPS. Era una bomba. Ruote perfette, pulita e motore, sebbene come tutte quanti ripitturato, apparentemente in buono stato.
<<Are you looking for a motorbike?>>  Dall'alto degli scalini con il casco sotto braccio ecco spuntare un giovane ragazzo con barba e capelli neri ed un inconfondibile accento francese.
Max, il proprietario di quella moto.
Lui e la sua ragazza tedesca erano appena arrivati in ostello. Avevano appena concluso il loro lungo viaggio da nord a sud, in due su una moto, quella moto. Ora si spiegava il portapacchi laterale.
<<Aimé, mi spiace dirlo, ma la nostra moto È in vendita!>> Mi si sono illuminati gli occhi.
Erano di fretta, dovevano ancora andar a cenare. Ci siamo scambiati i numeri e l'avrei beccato il mattino successivo in ostello.

Con il morale un po' più sollevato sono andato sulla terrazza dell'ostello insieme a compagni di stanza, un gruppo di ragazze inglesi, un australiano e altre due ragazze. Ero ritornato nella vita d'ostello. Per certi motivi mi era mancata: la possibilità di conoscere sempre gente diversa, il fatto di non essere mai da soli e la voglia di far festa sempre e comunque.
E poi c'è da dire che in Vietnam gli ostelli hanno tutto un altro spirito. Costano poco: in media con un range che va dai 5 ai 15 dollari. In Australia si parte quasi sempre dai 20$.
Birra gratis dalle 7 alle 8 di sera, colazione inclusa, bagni e camere pulitissime e wifi gratis.
Doveva essere una serata tranquilla ma alla fine mi son fatto coinvolgere dal gruppo tornando in branda verso le tre di notte.



30 Ottobre 2015

La giornata prometteva bene. MI son svegliato presto; volevo concludere il discorso moto per poi far un giro intorno alla città. Max ci ha messo un po' a svegliarsi e nel frattempo ho avuto la possibilità di provarne altre. C'era sempre un qualcosa che non mi conviveva, io mi ero innamorato della moto rossa!
Alla fine l'ho provata, non nel parcheggio come con le altre, ma direttamente in strada, nel traffico di quella città indemoniata. Era da un sacco di tempo che non prendevo in mano una moto con le marce, per un attimo mi sembrava di essere tornato indietro di dieci anni, quando con la mia Honda CRE "sfrecciavo" per le strade della nostra vallata.
Mi son trovato subito. Tutto funzionava. Sentivo che era lei quella giusta. Prezzo finale 250$! Ci saremmo rivisti quella sera per concludere l'accordo. Lui nel frattempo si sarebbe goduto la sua ultima giornata insieme alla sua ragazza e ovviamente la moto.

Con il sorriso stampato in faccia, sono uscito in quella giornata di sole da ustione facile.
Fuori ci saranno stati più di trenta gradi e il tasso di umidità era alle stelle. Sono sceso dalle scale ancora con la testa fra le nuvole, ma è bastato far il primo passo in strada per ricordarmi che ero ad Hô Chì Minh. Non vi dico le imprese solo per attraversare la via di fronte all'ostello.
Dopo qualche minuto di attesa sul marciapiede ho capito come funzionava. Per attraversare la strada ti dovevi buttare. Ovviamente solo quando c'erano i motorini, perché i mezzi più grossi non si fermano di sicuro. Buttarsi alla cieca, infilandosi tra i motorini, cercando la via di fuga più veloce.

Ho incominciato a camminar lungo la città passando prima per la via del centro, assorbendomi tutte quelle persone che cercano di venderti l'impossibile, che vogliono darti un passaggio in motorino o mostrarti la città "a gratis".
<<Dove vai? Moto? Passaggio? Compra!>> E come mio fare, rispondevo a tutti in modo gentile e garbato, chiedendo spesso anche <<Come stai?>>, in cambio nessuna risposta.
La gente di città mi stava dando un'impressione. Quella di tanti robot con lo sguardo perso nel vuoto che al tuo passaggio si attivavano all'improvviso esclamando quell'espressione o domanda che qualcuno gli aveva istallato e che avrebbe ripetuto per l'intera giornata e probabilmente per un'intera vita. È stata una brutta sensazione ma tuttavia per me era veramente così.

Hô Chì Minh è una città moderna, la più grande del Vietnam con 8 milioni di abitanti che fu rasa praticamente al suolo durante la guerra nel 1975. Qui si spiega la sua architettura moderna con grattacieli, teatri e musei. Son passato per il Ben Thanh Market dove ho solamente infilato la testa dentro, giusto il tempo di essere assalito da mille persone che cercavano di vendermi i loro vestiti. Non volevo essere soffocato. Da qui mi sono spinto nell'area più commerciale della città, sotto gli immensi grattacieli e monumenti: la Bitexco Financial Tower con i suoi 266m e la Basilica di Nostra Signora sono forse gli elementi più significativi. I più significativi forse dopo il War Remnants Museum. Il museo dedicato alla Guerra in Vietnam e in Indocina.








Ho camminato per diversi chilometri sotto quel sole ma la mia pelle era reduce da mesi in Australia. I miei piedi erano completamente neri e gli infradito cotti. Io stesso ero cotto.
Sono arrivato fino alle sponde del fiume Saigon con le sue acque color terra. Qui immensi barconi trasportavano container dai mille colori. Sporcizia e detriti galleggiavano sulle sponde di questo fiume. Fare un bagno nelle sue acque era impensabile.



Sulla strada era evidente lo spirito nazionalista e comunista del Paese. Il rosso e il giallo erano i colori predominanti. Bandiere comuniste e stelle gialle sventolavano in ogni angolo della strada.
Vecchi con lo stesso stile di barba del grande Hô Chì Minh e giovani con nemmeno un pelo in faccia. Persone che dormivano sdraiate sulla sella di un motorino a bordo strada; tante persone su mezzi a due ruote tutti con il volto coperto da una mascherina che li rendeva tutti uguali. Smog, smog e smog. Non era questo il Vietnam che volevo vedere.







Il museo è stato qualcosa di veramente toccante. Tre piani che raccontavano tutto su questa guerra, tra scritti e scatti fotografici. Documenti che sottolineavano ancora di più la brutalità e il non senso di questa inutile conflitto, come tutti d'altronde. Una guerra che ha visto un dispendio monetario, di vite e di armi inimmaginabile, con l'uso da parte degli Stati Uniti di armi chimiche, come l'agente arancio, che ancora oggi lascia i suoi segni.
È stata terrificante la sezione dedicata a questi agenti chimici; le foto delle malformazioni sembravano uscite da un altro mondo. Non ce la facevo più a star in quel posto e a vedere tutto ciò. Eppure c'era comunque gente che sorridente si scattava una foto sotto gli elicotteri che un tempo hanno distrutto milioni di vite e villaggi interi.




Son tornato in ostello dopo una lunga giornata con i piedi e la faccia completamente neri. Solo dopo una lunga doccia fredda ho realizzato quanto sporca era la mia pelle e quanto smog avevo respirato durante la giornata. La polvere scivolava lungo il mio corpo lasciando un pozzanghera marrone sotto i miei piedi.



Dovevamo concludere la questione moto. In tasca avevo con me una cifra esorbitante di contanti. Cinque milioni e seicento mila Dong circa! Ero milionario; peccato che tradotto in dollari statunitensi si parlava di appena 250$; questo il costo per comprare una buona moto per viaggiare in Vietnam. La "rossa" tutto sommato non era un Honda Win originale, ma qualcosa di simile; tanto alla fine motore e pezzi son quelli.
Insieme al mezzo erano inclusi anche due "caschi," che in caso di incidente mi avrebbero forse evitato solamente di spettinarmi, alcuni lacci elastici per legare gli zaini al portapacchi, delle borse impermeabili per proteggerle dalla pioggia e ovviamente la "blue card" quella che ipoteticamente dimostrava che io ne ero il proprietario. A ciò si aggiungevano il mio impermeabile, la giacca di pelle, altri elastici e arnesi vari.
Quando mi ha consegnato in mano le chiavi di quel pezzo d'epoca su due ruote, mi son sentito rinvigorito, finalmente poteva iniziare la mia avventura, ma al tempo stesso anche spacciato, ora tutto dipendeva da quel mezzo, mi avrebbe potuto lasciar a piedi da un momento all'altro e qualsiasi cosa fosse successa, me la sarei dovuta sbrigare da solo.
Mi hanno dato un sacco di informazioni e consigli, quali strade prendere e quali posti visitare e soprattutto come trattare al meglio il loro gioiellino, che fino a lì non li aveva mai dato alcun problema.

Ultima sera in quel di Hô Chì Minh. Doveva essere come al solito una semplice birretta con del cibo di strada insieme a Max e alla sua ragazza, ma alla fine ci siamo ritrovati a girare per Saigon con tutto l'ostello, di bar in bar e alla fine come la sera precedente, mi son trovato a camminare alle tre di notte verso l'ostello in compagnia di Julia Roberts (è il suo vero nome), la ragazza delle Bahamas che da lì a pochi giorni sarebbe ripartita per la Gold Coast a pochi chilometri da Byron Bay. 

31 Ottobre 2015

Sorprendentemente mi sono alzato presto, ho recuperato le mie cose e sono uscito dall'ostello. Ero troppo eccitato all'idea di partire! Lei, a cui non avevo ancora trovato un nome, era lì, pronta ad essere cavalcata dal suo nuovo proprietario.
Ero davvero carico! Zaino grosso da un lato e zainetto piccolo dall'altro. Ad aggiungersi c'era la macchina fotografica a tracolla. Ero pronto. La giornata era stupenda; sole e niente nuvole. Una perfetta giornata per scottarsi. La prima tappa sarebbe stata Vũng Tàu sulla costa ad est di Hô Chì Minh. Qui i siti internet dicevano che avrei potuto trovare degli spot per surfare. Ero via da soli tre giorni e già mi mancava. 




Ultimi controlli alla moto, un'oliata alla catena e via, in mezzo a quel flusso di motorini, camion e clacson. In bocca al lupo Andrea.
Ero un continuo guardarsi a destra e a sinistra. I miei occhi si spostavano in continuazione cercando di catturare qualsiasi movimento intorno a me.  Perdere la concentrazione era impossibile.
La mappa diceva che dovevo oltrepassare il cavalcavia per entrare in quella che sembrava un'autostrada che mi avrebbe portato giù fino a Vũng Tàu; ma ogni volta, quel cavalcavia, lo vedevo avvicinarsi per poi allontanarsi. Ero convogliato nel fiume dei motorini e non riuscivo a prendere il controllo della situazione. Mi sembrava di essere finito in un labirinto di cui non trovavo l'uscita. Son trascorsi più di trenta minuti prima di riuscir a prendere finalmente quel cavalcavia che mi avrebbe portato via da quel lento traffico in uno meno intasato ma più pericoloso; quello dell'autostrada con camion e pullman che sfrecciavano a tutta velocità. Per fortuna c'era una corsia che era solo ed esclusivamente per i mezzi a due ruote.
Ogni camion che passava era un'ondata di polvere che arrivava; fortuna vuole che mi ero munito di occhiali da sole e mascherina alla vietnamita. Mi hanno salvato la vita.

E così a poco a poco ho preso sempre più confidenza con la moto, accelerando di più facendo lo slalom gigante tra gli altri veicoli. Tutto stava andando liscio secondo i piani, finché è apparso quel cartello all'imbocco della super-strada verso sud. Divieto d'accesso per i motorini. Stavo per salire sulla rampa quando un ragazzo in divisa mi ha fatto capire che era meglio far dietro front.
L'unica soluzione era girargli attorno con una deviazione che mi avrebbe portato via un'ora dalla tabella di marcia. Le strade si son fatte più piccole e meno curate. Son passato da tratti di sterrato a carreggiate piene di buche. Era un viaggio che non finiva più.
In quarta fissa, nessuno mi fermava più. Infine ecco apparire i cartelli della città. Finalmente ero uscito da quel traffico insopportabile. Dopo circa 150km ero arrivato a Vũng Tàu.
Tirava un vento assurdo, un vento salmastro; dovevo trovare una sistemazione, ma non c'era traccia di ostelli. Ero da solo, ero ancora un po' spaesato e sinceramente non sapevo dove buttarmi. Gira di qua, cerca di là alla fine ho deciso di fermarmi in una Guest House dove mi lasciavano una stanza doppia. Il prezzo era molto alto, ma non c'era altra soluzione.
Ero sfinito; ricoperto di polvere, bruciato e completamente zuppo di sudore!

Non c'era traccia di surf; non c'era traccia di occidentali. Ero circondato da gente che mi guardava incuriosita. In spiaggia malgrado le condizioni del mare c'era un sacco di gente che faceva il bagno. Una folla intera, anche con su i vestiti, immersi in quelle acque color terra; un'immagine che mi ha ricordato le folle nel Gange.










Sono andato su in moto fino al faro da dove era possibile aver una vista dall'alto di tutta la città. Era parecchio grande. Appena si è fatto scuro son tornato giù immerso nel buio testando anche le luci. Tutto funzionava alla perfezione, abbaglianti e anabbaglianti.
Mi son fermato a mangiare una sorta di pastella fritta con frutti di mare e insalata. Una cosa molto semplice ma davvero buona. Nel tornare verso la stanza mi son fermato a mangiare altro cibo di strada. Tutto era così buono ed economico che non mi passava mai la voglia di mangiare.






In camera faceva un caldo assurdo. Ho provato ad aprire le finestre per far circolar aria, ma il vento continuava a chiudermele. Alla fine ho dovuto accendere il climatizzatore. Era l'unica, anche se è una cosa che odio profondamente. Ero stanco e stavo sprofondando in un sonno profondo, ma nessuno mi aveva avvisato che quel weekend di Halloween era una sorta di festa nazionale. Quella sera ho odiato gli asiatici, il Vietnam e i suoi abitanti.

1 Novembre 2015

È stata letteralmente una notte insonne.
I vicini di stanza sono rientrati verso le undici e hanno incominciato ad urlare a più non posso, sbattendo le porte e cantando. Erano forse una decina in quella camerata. Ho tollerato il tutto per un po' ma alla fine non ce l'ho fatta più. Sono uscito e la loro porta era spalancata. Erano tutti belli ubriachi che ballavano in mezzo alla stanza. Ho chiesto gentilmente di chiudere la porta e di smetterla di far tutto quel baccano dato che erano già le 23.30 e soprattutto c'era gente che voleva dormire.
È bastato rimettersi a letto che hanno ricominciato di nuovo. Ancora più forte.
Qui è mancanza di rispetto. Sono uscito di nuovo questa volta senza nemmeno bussare. Gli ho fatto capire che dovevano finirla una volta per tutte. Loro? Ridevano… Alla fine ha deciso di uscire e concludere la loro festa nei locali in strada.
Alle tre di notte tutto è ricominciato. Sono saltato di nuovo fuori. Questa volta c'era molta più gente ed erano nella stanza di fronte alla mia. Ovviamente la porta era spalancata. All'interno di una misera stanza c'era qualcosa come tre famiglie con tanto di bambini piccoli. Non ci ho visto più. Non mi era mai capitato di incontrare gente tanto menefreghista e maleducata nel confronto degli altri. <<Sono le tre di notte! Spegnete sta musica e soprattutto finitela di urlare!>> Uno di loro, in mutande, mi guarda e ridendomi in faccia mi fa <<No!>>. Non so cosa mi ha trattenuto a non far partire un bello sberlone su quel volto flaccido e sudato. So solo che la mia mano al posto di finire su di lui, ha abbrancato la porta è la sbattuta con una cattiveria che non so da dove mi sia uscita. Non mi ero mai sentito così incazzato in vita mia. Alla fine non so come ho chiuso gli occhi ma alle sette del mattino erano le loro voci a svegliarmi ancora. Sudato, stanco e nervoso ho preso le mie cose e me ne sono andato. Non ce la facevo più a star in quel posto.

Ho ripreso la strada, il vento era ancora fortissimo e non c'era traccia di surf. Avrei continuato lungo l'autostrada per arrivare a Mũi Né.
Per parecchi chilometri la strada è stata pressoché identica a quella del giorno precedente, poi pian piano il verde ha incominciato a farsi vedere. Ecco spuntare le prime risaie e anche i primi bufali. È stata una grandissima emozione al pari del primo canguro in Australia. E come è successo per i marsupiali lungo il viaggio ne avrei incontrati a centinaia fino a stufarmi.



Poi finalmente la strada è diventata sempre meno trafficata, accennando i primi sali e scendi in mezzo al verde di campi che si perdevano a vista d'occhio. Sono passato in mezzo a paesini minuscoli dove il principale punto di ritrovo erano i mercati lungo la strada. Qui in uno di questi posti mi sono fermato nell'unico che sembrava facesse qualcosa da mangiare.
È uscito un signore che all'apparenza non sembrava aver avuto molti clienti durante la giornata. Con la sua pancia gonfia in bella mostra, era seduto su uno sdraio. Al mio arrivo, il suo sguardo sembrava volesse dirmi <<Stai veramente venendo qui?>>. Gli ho fatto segno se aveva qualcosa da mangiare. Tutto sorridente mi ha mostrato una bella brodaglia e dei noodles. Uno dei piatti più consumati in Vietnam e molto probabilmente anche il più veloce da cucinare e al tempo stesso più economico: il Phö.
Gli ho fatto capire che ero vegetariano ma ovviamente qualche pezzo di carne l'aveva già messo dentro e mi spiaceva dirgli di buttarlo via.
In quel posto non c'era nessun altro, solo io e lui. Si è seduto di fronte a me e mi fissava. Rideva del fatto che non sapessi usare le bacchette. Mi sorrideva, mi toccava le braccia e mi indicava i capelli biondi; voleva dirmi che ero un bel ragazzo. Ha preso in mano la mia GoPro e ha iniziato a giocarci… voleva che gliela regalassi.
Poi ha aperto un altro discorso. Gesticolando mi ha fatto capire di aver una figlia. Una figlia bella con un seno prosperoso e con un gesto di mani mi ha chiesto se volevo aver del sesso con lei in casa sua che poi era proprio lì nella stanza dietro. Ho fatto segno di no, ha insistito. Ho pagato quello che mi aspettava, l'ho salutato e senza finir la mia ciotola ho preso e mi son rimesso in marcia.
In tutto l'arco della giornata avevo incontrato solo un paio di ragazzi anche loro in moto, ma nella direzione opposta.

Infine sono arrivato a Phan Thiêt dove i mille colori delle bandiere lungo le strade e delle barche mi hanno dato il benvenuto nella città dei pescatori. Mi son fermato su il ponte che attraversava il fiume principale del luogo e qui per diversi minuti son rimasto incantato dal numero infinito di barche in legno dei pescatori intenti a preparare le loro lenze in attesa dell'uscita notturna.
Sembravano dei giocattoli di legno con i loro vivacissimi colori che passavano dal rosso, al giallo, all'azzurro. Mi son fermato ad osservare queste persone e con teleobiettivo alla mano sono entrato per un attimo nella loro quotidianità. Ovviamente sulla barca giravano a piedi nudi con addosso semplicemente un paio di pantaloncini. C'era chi lavava la barca immergendo i secchi nell'acqua del fiume e chi con la stessa acqua si faceva una doccia all'aria aperta. Chi dormiva sospeso su una sorta di amaca e chi preparava attentamente le reti e le lenze per la notte in mare aperto.














Infine dopo 175km sono arrivato a Mũi Né, considerata la piccola Nha Trang. Una cittadina molto turistica, piena di hotel e resort sulla spiaggia dove è possibile incontrare un russo ogni cinque metri. Le insegne dei negozi sono in lingua cirillica e le botteghe di super alcolici sono in ogni angolo della strada. Insomma niente di così speciale. La spiaggia non aveva nulla da invidiare con quelle australiane ma il bagno nelle sue acque è stato a dir poco rigenerante! I cieli di questa baia nelle giornate migliori si posso riempire di aquiloni dei kite surf. Qui è il vento a far da protagonista.
Ho trovato quasi subito un ostello dove immediatamente ho fatto conoscenza con i compagni di stanza. Un francese e una coppia inglese.

Mi son goduto le ultime ore di sole sulle Red Sand Dunes che tanto mi hanno ricordato l'inizio del nostro viaggio da Perth. Ho fatto cambiare l'olio del motore che sarebbe stato opportuno far ogni 300km e prima di tornar in ostello mi son goduto il tramonto lungo la costa, tra il viola dell'orizzonte e il blu delle barche in mezzo all'acqua. Il cibo di strada è stato nuovamente la ciliegina sulla torta di una lunga giornata.












Son tornato in ostello e qui ho ribeccato il ragazzo francese, Julien.
Lui e altri ragazzi andavano a mangiare e ber qualcosa nel locale di fianco; quei ragazzi che da lì a pochi giorni sarebbero diventati i miei compagni di avventura, la mia famiglia: Eliot dal Canada, Jakob dalla Danimarca e infine la caliente Romi dall'Argentina.
Abbiamo passato una bellissima serata e nel parlar con Julien ci siamo accorti di aver un'amica in comune: Vale, una ragazza francese che aveva vissuto nel mio stesso campeggio a Byron Bay e che poi ho rivisto anche ad Adelaide, era nient'altro che una delle sue migliori amiche in Francia sin dall'infanzia. Il mondo non è piccolo, è minuscolo! Lui il giorno seguente sarebbe partito in direzione Hô Chì Minh, la sua esperienza stava finendo per poi concludersi in Cambogia. Romi era in cerca di una moto per iniziar la sua avventura, mentre Eliot e Jakob sarebbero partiti il mattino seguente verso Đà Lat, seguendo la mia stessa rotta. Siamo rimasti d'accordo che ci saremmo probabilmente rivisti là. Io sarei partito da solo prendendo i miei tempi.

2 Novembre 2105

Domani mattina partirò sul presto, avevo detto. Alla fine mi son ritrovato in sella alle 11.30.
La mattina l'ho passata a sistemare attentamente tutti i miei bagagli, organizzando il tutto nel modo migliore. Ho fissato anche i porta GoPro, uno sullo specchietto destro che mi era partito il primo giorno e uno sul fanale anteriore… finalmente potevo riprendere qualcosa!

Quel giorno si crepava dal caldo! Fermarsi voleva dir ricoprirsi di sudore all'istante.
Finalmente stavo percorrendo una strada lungo la costa. Lo scenario era fantastico, la strada era fantastica. Il rombo della mia moto, la velocità, l'aria e la giornata di sole mi hanno fatto sentir libero. La strada si perdeva a vista ad occhio, sembrava un lungo serpente grigio chiaro lungo quelle colline aride. Le nuvole nel cielo sembravano appena uscite da un quadro. Il tutto era un'opera d'arte. A quel passo sarei arrivato a Đà Lat in un batter d'occhio.










La costa a poco a poco ha lasciato il posto alle colline verdi che proteggevano tra le loro braccia distese olivastre. Le risaie iniziavano ad aumentare. Il riso non aveva ancora raggiunto la sua massima maturazione. Avevo parlato troppo presto.
Non avevo tenuto conto delle montagne. Le temperature si son fatte a poco a poco sempre più basse. La vegetazione sempre più fitta e sempre più verde. Mi son fermato a far una foto davanti ad un lago. In lontananza c'era una sorta di nebbia. Una nebbia strana, più alta che larga e si spostava velocemente. Forse non era nebbia, era pioggia. In due minuti ho tirato fuori il poncho e ho messo la sacca impermeabile ad entrambe gli zaini. Appena in tempo prima di una cascata di pioggia durata appena cinque minuti. Ho guardato davanti a me… non si vedevano le cime delle montagne. Quella era tutta pioggia. Ben arrivato nel vero Vietnam.





Era iniziata la salita, era iniziato il Gran Premio della montagna con i suoi mille tornanti. Pioveva, la visiera del casco era inutile, gli occhiali da sole erano l'unico riparo a quelle gocce di pioggia che sembrava proiettili. Le mie scarpe erano inzuppate, la mia faccia era inzuppata… ma io ridevo. Ridevo nel trovarmi lì in mezzo al nulla, immerso sui monti di quella giungla fitta e rigogliosa. I tornanti non finivano più. La mia moto pregava passando dalla prima alla seconda, dalla seconda alla prima. Una cima che non arrivava più. Poi la strada si è fatta pianeggiante e come all'improvviso ha incominciato a scendere sempre più ripida. Era tutto bagnato, non potevo usar troppo i freni; dovevo tener le marce basse e far si che fosse il motore a frenar da solo.

Dopo non so quanto tempo in mezzo al nulla, alla fine sono arrivato in un paesino e qui è iniziata la vera avventura. La strada si è ridotta ad una corsia e l'asfalto era sparito. Le buche e i sassi  erano la vera pavimentazione. Pregavo che in quel momento non si bucassero le ruote. Una strada assurda (nulla in confronto alle future) ma che stranamente era la strada giusta, la strada principale.
Si incrociavano spesso altri motorini. Ma loro non sembravano farci caso alle condizioni della strada; senza casco e in infradito andavano spediti su questi sentieri che potevano molto probabilmente far ad occhi chiusi.










C'erano un sacco di punti in cui stavano rifacendo le strade e la cosa che mi ha sorpreso di più era il modo in cui lo facevano. Niente segnalazioni, giravi la curva e ti trovavi una mega ruspa in mezzo alla strada. La gente lavorava in ciabatte, senza guanti e protezioni. Uomini e donne senza distinzione. Tutti con i piedi nel fango, scavando senza un cenno di pausa.

Mi son fermato subito dopo uno di questi cantieri a celo aperto dove una graziosa signora mi ha preparato una bella zuppa calda. Quello che mi ci voleva in quel preciso momento. Mi ha offerto anche il loro tipico the verde come son soliti fare in tutti i posti in cui ti fermi a mangiar qualcosa.
Erano ore che guidavo senza mai fermarmi e stavo morendo di fame e sete. Non so, ma quando sei in sella ad una moto, la fame, la sete e i crampi li senti, ma c'è come un qualcosa che ti frena a fermati e ti dice di continuare fino al prossimo paese. E così passi paesi e paesi senza mai fermarti veramente.
Mi ha concesso anche una foto nel suo salotto di casa che come in tutti i posti qua era accessibile a chiunque si fermasse a mangiare. Gliel'ho mostrata e in cambio ho ricevuto un sorriso timido, quel sorriso di una persona che molto probabilmente si è vista ritratta in una foto pochissime volte o forse mai.

La strada ha ripreso a migliorare e dei raggi di sole hanno aperto quella coperta di nuvoloni carichi di pioggia. Mi son fermato un attimo. Davanti a me c'era un arcobaleno completo. Era bellissimo. Stavo scattando la foto quando qualcosa mi è passato a fianco. Era una mucca. Anzi due, tre… c'erano parecchie e stavano camminando lungo la strada guidate dal bastone di un giovane pastore. Mi son trovato a guidar la moto in mezzo a loro. A qui bovini scheletrici, dalle corna lunghe e la gobba sulla schiena. Quelle che noi vediamo solo nei documentari. Inutile dirlo… quella scena mi aveva stampato un sorriso. Chi mai l'avrebbe immaginato che un giorno mi sarei ritrovato in certe situazioni, in Vietnam, da solo e soprattutto in sella ad una moto!














Sembrava non finire mai, la strade cambiavano in continuazione come se qualcuno si divertisse a farle solo a tratti. Poi è apparsa la prima città e con lei è arrivato un vero e proprio acquazzone tropicale.
Non riuscivo a tener gli occhi aperti. Un po' mi paravo con gli occhiali e un po' con la visiera del casco che nella sua inutilità mi peggiorava solo le cose.
Le strade erano diventate dei fiumi. I miei piedi arrivavano quasi a toccar l'acqua; le pozzanghere, quelle che si distinguevano, nascondevano delle buche non poco profonde.
Ma io come ci ero finito in quella situazione? Eppure dovevo continuare… non avrebbe smesso di piovere e io dovevo arrivare a Đà Lat prima di sera.
Le scarpe pesavano sempre di più… fortuna vuole che avevo su i pantaloncini corti che stavano belli riparati sotto il poncho. Le ruote avevano sempre meno aderenza con l'asfalto. Anzi non avevo proprio più il controllo di quella anteriore. Era completamente a terra. Avevo bucato. E ora?
Niente panico, ero in un paese. Mi son fermato da quello che sembrava essere un meccanico. Me l'ha rigonfiata e mi ha detto che era a posto. Già, peccato che dopo cinquecento metri era già a terra. Ne ho trovato un altro ed è stato geniale. In dieci minuti mi ha sfilato la camera d'aria, mi ha tappato il buco e me l'ha rimessa su. Ha interrotto il suo lavoro, si è insozzato tutto tra il fango della mia moto per soli 10.000 dong… 40 centesimi di euro. Era stato onestissimo.




Son ripartito sotto la pioggia. Mancava poco a Đà Lat e si stava facendo scuro. Ad un certo punto, in mezzo al nulla, ho sentito un rumore brusco e la moto non accelerava più. Era saltata la catena! E ora?
Ok la catena di una bici, ma quella di una moto non avevo la minima idea di come si rimettesse su. Mi son guardato in giro. Non c'era anima viva. Era quasi buio. Dovevo veramente continuare a piedi? NO.
Mi son tirato su le maniche, ho messo la moto sul cavalletto centrale, ho preso in mano la catena e ho provato a tirarla il più possibile sulla corona. Ho acceso la moto; ho inserito la prima, ho lasciato a poco a poco la frizione e come per magia la catena è tornata su. Ma che gran cazzata… e io che mi ero già dato per perso. Con le mani ricoperte di grasso ho ripreso la marcia ancora più fiero di me stesso. 
Era oramai buio pesto e dopo 156km di sali e scendi ero arrivato finalmente a Đà Lat che con le sue luci mi ha ridato speranza e serenità. Il cellulare mi segnalava un certo Family Hostel; mi pareva fosse quello in cui andavano i ragazzi, ma non ne ero sicuro.

Sono arrivato lì stremato. Ho messo la testa dentro e mi son trovato davanti una trentina di ragazzi seduti tutti ad una tavolata. Poi è saltata fuori un piccola ragazza vietnamita. Mi ha tirato dentro e rivolgendosi a tutti i ragazzi ha urlato <<Diamo un caloroso benvenuto al nuovo arrivato!>> Fischi, applausi e musica a manetta, questo era il rituale che ognuno doveva subirsi.
In quel momento avevo solo bisogno di cambiarmi e farmi una doccia calda. Chi mi son ritrovato nella camerata? Eliot e Jakob, i ragazzi del giorno prima erano già arrivati ed erano nella mia stanza. È stato bello rivedere facce conosciute dopo una lunga giornata in solitaria.
La doccia mi ha rigenerato… ma il top è stata la cena. La cucina era già chiusa, ma Mama, il boss dei quella casa/ostello, si è rimessa ai fornello solo per me; io al caldo, con le gambe sotto al tavolo mi son trovato con un sacco di pietanze davanti a me e solo per me, con in mano una birra da 66cl che costava anche lei solo 0.40 centesimi. In quel momento volevo piangere dalla felicità. Mi hanno fatto sentire a casa. È stata una serata fantastica. L'ostello si è trasformato in un disco bar dove tutti ridevano e scherzavano; dove non c'era distinzione di paese o lingua, dove non c'era la paura di condivisione e di parlar con uno sconosciuto; cosa che forse non impareremo mai in Italia.




3 Novembre 2015

Tra una cosa e l'altra la sera precedente avevamo pagato per andar a far canyoning.
Un'esperienza che mi sarebbe sempre piaciuto far in Italia ma che diciamocelo ha dei costi assurdi. Qui con circa venti euro avevamo l'esperienza in tasca.
Siamo partiti sul presto su un pulmino in compagnia di quattro giovani vietnamiti che ci avrebbero accompagnato nella discesa del fiume, tra cascate, salti e scivoli naturali.
Il tempo non era dei migliori, il cielo era coperto anche se non era prevista pioggia, ma l'idea di buttarsi in acqua senza sole non era sicuramente il top. 

Le attrezzature stesse erano bagnate fradice: guanti, pettorina salvagente, caschetto e imbracature; gli unici indumenti erano i nostri, semplicemente un costume, una maglietta e un paio di scarpe da ginnastica.
Il divertimento è iniziato già nella discesa lungo il pendio verso la gola del fiume tra gli umidi sentieri della fitta giungla vietnamita. Foglie e fango volevano vederci a tutti i costi a contatto diretto con la natura. Dopo capitomboli, scivolate e sederi ricoperti di fango siamo arrivati sulle sponde del fiume. Ecco il primo contatto con l'acqua che a prima impressione sembrava sporchissima. In realtà il suo color giallo era dovuto dalle forti precipitazioni dei giorni precedenti.  Tutti sono arrivati all'altra sponda bagnandosi solamente le gambe, io non ho esitato a tuffarmici dentro a peso morto.
Sebbene ci fosse un ragazzo del gruppo a far delle foto, io non ho esitato a registrar il tutto con la GoPro, legata goffamente ad una mano… come dire, rischiamocela pur di aver dei bei video.
Siamo scesi con la corda lungo una parete per poi scivolare trasportati dall'acqua lungo la liscissima roccia di una sorta di scivolo naturale. Prima in avanti e poi per i più coraggioso di spalle, rimbalzati qua e la dall'acqua per poi essere gettati di forza nella pozza sottostante.
Da buon tuffatore nel Naviglio e da frequentatore del Ticino mi son fatto notare subito. Sembravo un bambino in una piscinetta gonfiabile che non smette di saltare qua e là o come uno al parco giochi che sale e scende in continuazione sulla medesima giostrina senza mai stancarsi.
Ci siamo spostati in un altro posto, forse il più bello; il posto dove si facevano i tuffi. Si poteva scegliere, undici o sette metri. Quello più alto comportava anche di saltare in lunghezza per superar la roccia. Ho chiesto se era sicuro farlo e mi hanno risposto di sì. Mi son tolto casco e salvagente e senza esitare ho preso la rincorsa e mi son buttato giù! Una volta, due volte, tre, con giravolta… non smettevo più. Era un continuo tuffarsi e risalire scalando la roccia. Alla fine è suonata la campanella che decretava la fine dell'intervallo. Si doveva proseguire; proseguire in qualcosa di più alto e grosso. Una bella cascata da dove ci si doveva calare e infine tuffare! Circa a metà bisognava togliere entrambe le mani dalla corda e con uno slancio di gambe gettarsi alla cieca a volo d'angelo. Almeno, così avevo capito io. Schienata piena… meno male che avevo il salvagente che ha attutito l'impatto.

 















L'ultimo step è stato la "Lavatrice". Bisognava calarsi all'interno di una gola fino ad infilarsi nel getto di una cascata. In quel punto bisognava mollar la presa cosicché la forza dell'acqua ti avrebbe spinto lungo la gola, facendoti finire in una sorta di centrifuga subacquea.
Ne uscivi come nuovo!



Ovviamente nel tornar al pulmino faceva un freddo assurdo; per fortuna avevo ben pensato di portarmi un ricambio. La bella mattinata non poteva che concludersi con un bel pranzo tutti assieme sulle sponde del lago in cui si immette il fiume che avevamo precedentemente disceso.


Siamo tornati in ostello dove per pochi euro ci hanno lavato ed asciugato vestiti e scarpe, che mi son tornate come appena uscite dal negozio.
E qui nel mezzo delle luci offuscate della strada esterna ecco spuntare Romi e Julien; la ragazza argentina e il francese erano arrivati lì anche loro! Dopo una lunghissima giornata, tra guasti alla moto, lacrime e cadute, la piccola Romi, per la prima volta su una due ruote e soprattutto con le marce, era arrivata sana e salva a Đà Lat. Julien, da gentil uomo, si era offerto di accompagnarla fino a lì, cambiando la sua tabella di marcia. Senza di lui Romi non ci sarebbe mai arrivata.





Abbiamo festeggiato la rimpatriata fino a tarda notte con tutti i ragazzi dell'ostello; una notte indimenticabile! Una notte che segnava l'inizio di una nuova avventura e di un nuovo viaggio.
La nascita di una compagnia, o se preferiamo, di una crew: io, Eliot, Jakob e Romi.

4 Novembre 2015

Pensavo di ripartir da solo quella mattina. Avrei lasciato sul presto l'ostello per affrontare quello che è considerato uno dei tratti più panoramici di tutto il Vietnam. La strada lungo le montagne che collega Đà Lat alle spiagge bianche di Nha Trang.
Invece all'ultimo mi son lasciato convivere dagli altri ragazzi. Perché non continuare in compagnia? È vero, io volevo spostarmi con i miei tempi, fermarmi a far le foto e non dipendere da altri. Ma alla fine ho pensato che forse un po' di compagnia non sarebbe stata male. Peccato che tra una cosa e l'altra, alla fine il resto della ciurma era pronto solo dopo pranzo. Ho speso la mia mattinata a preparar il pranzo insieme ad altri ragazzi dell'ostello, arrotolando involtini primavera che sembravano non finire mai.






Era già parecchio tardi, ma il gruppo era pronto a partire. 
Ci avevo pensato parecchio… non avevo ancora trovato un nome alla mia moto. L'avevo dato a tutti i miei mezzi tranne a lei. Trinh era il nome adatto. Trinh come la bella ragazza vietnamita di cui si era innamorato il giovane Robbie Williams in Good Morning Vietnam.
E non solo il nome era l'unica cosa che ci mancava; ci serviva una mascotte. Se in Australia c'era Carlotta La Paperotta, qui doveva esserci un simpatico peluche di koala trovato tra i tanti giocattoli di una bancarella del mercatino del paese. Un paffuto koala con in testa un cappellino da vero outback, che come poteva immaginarsi, ha regalato un sacco di sorrisi ai bambini che incrociavamo sulle nostre strade; non potevo trovar di meglio!





È stato un po' difficile uscire dal traffico della città. Soprattutto per Romi che sembrava aver davvero grosse difficoltà con il mezzo. Non riusciva a controllarlo, a ripartire, a scalare le marce nelle salite e a uscire da quel caos di traffico. Dovevamo assolutamente portarla fuori dal centro abitato.
Ha incominciato a piovigginare come se la strada ci volesse annunciare che quel giorno per noi sulle montagne non ci sarebbe stato scampo. Ci saremmo inzuppati per bene.
Le strade hanno incominciato a salire sempre di più e a farsi sempre più armoniose. Attorno a noi solo verde e infinite piantagioni. Le palme e la boscaglia erano interrotte a piccoli tratti da esili capanne fumanti da cui spuntava ogni tanto qualche faccia curiosa di un contadino.










Più salivamo più il sole scendeva e con esso le temperature. Stavamo imboccando la strada per le montagne lungo le pinete. Ha incominciato a piovere nuovamente.
Mi son staccato un attimo dal resto del gruppo e dopo aver girato una curva mi son trovato Jakob dolorante in un baracchino a bordo strada. Su quella curva era caduto dalla moto. Fortuna vuole che arrivava piuttosto piano. Ma il volo gli ha spaccato il fanale della moto e gli ha costato una bella ferita sul ginocchio che molto probabilmente richiedeva punti.
L'ho aiutato a medicarsi con quello che avevamo dietro. L'abbiamo fasciato per bene e siamo ripartiti.
Abbiamo ritrovato il resto della ciurma poco più in là, seduti al riparo della pioggia fuori da quella che sembrava una stanza da letto/ristorante.
Non potrò mai descrivervi questi posti. È come se vi metteste fuori da casa vostra con un pentolone e un forno a gas, con due tavolini e qualche sedia, ad vendere il cibo ai passanti o al resto del villaggio. L'unica differenza che dietro ai quei mattoni e lamiere c'è una piccola stanza. L'unica stanza dove vive e dorme l'intera famiglia, la loro casa!
Insieme a noi c'era un gruppetto di ragazzini che avranno avuto diciotto anni o meno. Tutti belli e ubriachi che sorseggiavano bicchierini di vodka mentre noi ci gustavamo la nostra zuppa calda che ci ha ridato sensibilità agli arti. Poi ovviamente non abbiamo potuto dir di no ad un paio di bicchierini in compagnia gentilmente offerti da loro. Non so chi era quello più lucido ma a vedersi non sembravano per niente messi bene. Eppure come se nulla fosse hanno ripreso la loro marcia in sella ai loro motorini svanendo nell'imbrunire.



Eravamo finiti proprio in una sgradevole situazione. Eravamo forse ad un terzo di strada e stava già diventando buio e soprattutto le montagne non erano ancora iniziate. Ma la cosa più brutta e che Jakob e Romi erano rimasti senza luci. Non potevamo fermarci lì nel nulla, dovevamo continuare.
Ho tirato fuori dallo zaino tutto quello che poteva servirci: torcia, pila da testa e nastro impermeabile. Su entrambe le loro moto avevo messo una sorta di faro alternativo… nel nulla qualcosa avrebbe pur fatto.
Faceva sempre più freddo. Noi ragazzi eravamo ben equipaggiati mentre Romi aveva con se solo cose leggere. Ho tirato fuori dallo zaino tutto ciò che di pesante avevo con me è l'ho condiviso con la ciurma. Eravamo proprio in una brutta situazione; non potevo prenderli e mollarli lì. Dovevamo continuare tutti assieme.
Ha ripreso a piovere sempre più forte. Le nostre scarpe erano praticamente inzuppate. Alla prima vera salita mi è caduta la catena. L'ho rimessa su. Oramai era praticamente buio.
Viaggiavamo in fila indiana con io ed Elliot a far da estremi. Poi a poco a poco a smesso di piovere. Stavamo viaggiando lentamente, ma con calma e con pazienza saremmo arrivati. Ma il peggio doveva ancora venire.
Intorno a noi non c'erano più luci. Ogni tanto si incrociavano immensi camion che al loro passaggio ci accecavano con i loro potenti abbaglianti. E poi qualcosa ha attirato la nostra attenzione.
Attorno a noi il silenzio, l'aria era fredda e la luce aveva assunto un color bluastro. Cosa stava succedendo davanti a noi? Era come se infondo alla strada, davanti ai nostri occhi, stesse ritornando la luce, come se tutto si stesse facendo più chiaro. Stavamo entrando in un ambiente che sembrava magico. Siamo stati catturati da quella sostanza che in un attimo ci ha circondati e in pochi secondi ci ha fatto perdere di vista. Eravamo giunti alle montagne. Eravamo finito nella nebbia più fitta che avessi mai visto e se è un padano a dirlo vuol dire che era proprio spessa. Ci siamo fermati un secondo. Dove eravamo finiti? Dove era finita la strada? Cosa c'era intorno a noi. Le mappe dei nostri cellulari non davano segno di vita. Faceva un freddo assurdo a star fermi e l'umidità penetrava anche sotto il fitto strato di vestiti. Non sapevo se piangere o se pregare. Ma chi me l'aveva fatto fare? Era forse il mio ultimo giorno? Eravamo in mezzo al nulla più assoluto nel cuore della montagna e in piena notte. Cosa ci sarebbe successo? Non si vedeva a distanza di un metro, due di noi erano senza luci… e se fossimo rimasti senza benzina? Cosa c'era a fianco a noi?
Ci siamo guardati con facce perse ma alla fine non c'era altra soluzione, dovevamo continuare. Ho preso in mano la situazione e con un sgasata di motore mi son spinto in mezzo al nulla. Questa volta avevamo formato due formazioni. Noi con le luci saremmo stati in mezzo alla strada, gli altri ci avrebbero seguito a fianco, tenendo come riferimento anche una sorte di linea bianca che andava e veniva.
La situazione era così critica che non vedevo nemmeno i ragazzi dietro di me.
Viaggiavamo praticamente a passo d'uomo. Con tutte le frecce accese, io e Romi salivamo e scendevamo in una strada che non aveva un panorama; in una strada che non aveva un prima, un poi, una destra o una sinistra. Ho pensato tanto in quella situazione e alla fine mi è tornato il sorriso. Qualsiasi cosa fosse successa eravamo in compagnia. Per fortuna non ero partito da solo. Non so perché ma aver la presenza degli altri mi ha fatto come sentire immune da qualsiasi pericolo. Ho incominciato a prendermi gioco della situazione a riderci su. Chi l'avrebbe mai pensato che una notte mi sarei ritrovato insieme ad un'argentina, un canadese e un danese in sella a delle vecchie moto sulle montagne del Vietnam, immerso in una nebbia fittissima, con due luci su quattro funzionanti e nessun'idea di dove fossi. Se quella sera doveva essere la mia ultima sera ero contento di passarla così, in compagnia di tre sconosciuti nel bel mezzo del nulla. Ma se invece ne fossi uscito vivo, avrei avuto una bellissima storia da raccontare a cui nessun avrebbe mai creduto. Eppure, che mi crediate o no, in quella bruttissima situazione ci siamo stati per diverse ore… senza mai vederne una fine. 
Intorno a noi si udiva il rumore di imponenti cascate che con i loro salti sfioravano il bordo della strada. Chissà quali meraviglie ci circondavano. Eravamo molto probabilmente in quel famoso punto che rende quella strada una delle più belle del Sud Est Asiatico e noi ce la stavamo perdendo. No, noi la stavamo ammirando per la prima volta come nessun altro probabilmente l'aveva fatto prima.
<<Cosa desidereresti più in assoluto se ne usciremmo salvi da questa situazione?>> mi ha chiesto Romi. <<Vorrei tanto una doccia calda, un letto pulito e niente di più…>> <<…E niente di più?>> ed io <<Bè e poi vorrei far l'amore con te>>. Inaspettatamente sul suo volto era apparso un sorriso.

La cosa più brutta in tutto ciò non era vedere ma farsi vedere. Ogni tanto facevano la loro comparsa pullman e macchine che ovviamente ci scorgevano sempre all'ultimo. Poi come per magia, come era arrivata, era sparita. Ci siamo fermati in quel preciso tratto. Era dell'incredibile. Un metro prima non si vedeva niente e subito dopo tutto era più limpido. Avevamo superato il punto più alto delle montagne.
Ora davanti a noi c'era solo discesa. La speranza ha riacceso i nostri cuoi, in lontananza si scorgeva qualche luce, forse intorno a noi c'erano dei piccoli villaggi. Era sempre comunque buio pesto e ovviamente sulla strada non c'era nessun lampione.
Non sapevamo ancora dove ci trovassimo e nemmeno se il nostro carburante ci avrebbe portato troppo lontano. Poi abbiamo incominciato ad incrociare sempre più vetture. Spesso ci sorpassavano a tutta velocità motorini che apparivano dal nulla, dove l'unica luce era quella da testa sulla capoccia del guidatore. Ci stavamo sicuramente avvicinando ad un centro abitato.
E poi la luce nelle tenebre; non era un miraggio ma una stazione di servizio ed eravamo su una strada illuminata e a doppia carreggiata! Me lo ricordo ancora quel momento, abbiamo incominciato ad urlare e a suonare il clacson ininterrottamente. Eliot ha tolto le mani dal volante e le alzate al cielo. Eravamo salvi, il peggio era passato… almeno così credevamo.


Ci siamo tolti gli impermeabili e i vestiti pesanti. Era tornato a far caldo!
Eliot da vero "bad ass" si è acceso la sigaretta, ha girato la chiave ed è ripartito a tutto gas lungo quella che sembrava un'autostrada completamente deserta. Il navigatore segnava che eravamo a poco più di metà strada. Ma in quelle condizioni saremmo arrivati in un batter d'occhio.
Son bastati cinquecento metri a farci cambiar idea. Ci siamo fermati di nuovo e sotto una pioggia come Dio lo comanda ci siamo rimessi in marcia avvolti nei nostri impermeabili. Mancavano più di 70km e la pioggia era diventata esagerata. Non riuscivo più a tenere gli occhi aperti. Le lenti erano impregnate d'acqua, gli occhi erano pesanti e l'acqua grondava sulla mia faccia. Quella notte non finiva più. Eravamo finiti su una strada piena di macchine e soprattutto camion che alzavano onde e lasciavano dietro di sé nubi di vapore. Eravamo stremati. In quelle condizioni i chilometri non passavano più. Ho incominciato a sentir che eravamo veramente quasi arrivati solo quando un cartello segnava 10km a Nha Trang.
Ci siamo fermati tutte e quattro in linea davanti al semaforo. Ci siamo guardati e abbiamo sorriso. Questa volta eravamo veramente salvi. Avevamo superato quella che forse rimarrà una delle esperienze più difficili ma più belle della mia vita.
Siamo arrivati sotto i mega grattacieli e hotel di questa città che ci ha accolto con le sue enormi insegne luminose. Non avevamo la minima idea di dove andare anche perché erano già le dieci di sera. Dopo più di dieci ore avevamo percorso quei 140km che in normali condizioni avremmo dovuto percorre in circa quattro. Non abbiamo badato a spese. Quella sera ci meritavamo il top. Ci meritavamo una stanza a testa in un hotel, con un bagno e un letto solo per noi. Il tutto per solamente 15$ australiani.
Abbiamo trovato l'ultimo ristorante aperto dove anche la birra faceva fatica ad andar giù. Eravamo distrutti ma ancora sorridenti. Il giorno successivo non ci saremmo mossi. Dovevamo sistemare le moto ma soprattutto dovevamo riprenderci da quell'incredibile esperienza che scioccamente pensavamo potesse essere l'ultima!

<<Cosa desidereresti più in assoluto se ne usciremmo salvi da questa situazione?>> Bé… mi è sembrato proprio che ne siamo usciti salvi.


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