giovedì 18 febbraio 2016

Good Morning Vietnam - Part 2

5 Novembre 2015

È stata la dormita più bella in assoluto. Sono state poche ore ma sono state veramente tanto tanto sognate.
Le nostre moto, rimaste fuori dall'hotel avevano bisogno di un piccolo check. Io fortunatamente dovevo solo cambiar l'olio del motore, mentre gli altri avevano a che fare con problemi un po' più seri; ruota a terra, luci rotte o non funzionanti, testa del motore fusa.
Abbiamo passato la giornata nell'ozio più totale, dopo esserci trasferiti in un ostello molto più economico; il tempo non ci ha nemmeno permesso di goderci le tanto rinomate spiagge di questa città ultramoderna fatta di locali, parchi di divertimento, resort di lusso e negozi alla moda ovviamente assediata dai russi.
Il cielo era nero e le cascate di pioggia andavano e venivano. Nel pomeriggio, durante una delle poche pause, ho preso in mano la macchina fotografica e sono sceso per strana. C'era un'aria irrespirabile. L'umidità non era al 100%, di più. I miei vestiti erano fradici, la borsa della macchina fotografica era umida e la lente dell'obiettivo era appannata. Non serviva niente pulirla, tempo pochi secondi e si riappanava di nuovo.





Mi è bastato camminare due isolati per finir sotto un'altra fortissima pioggia torrenziale.
Bestiale come in pochi secondi tutto cambiava; con la pioggia tutto prendeva colore, la città si riempiva di sfumature vivaci dai mille colori; giallo, verde, rosa, azzurro… la gente per strada e sui motorini misteriosamente mutava pelle. Impermeabili che saltavano fuori dal nulla e che con la stessa velocità sparivano. 
Era proprio una giornata no, una di quelle da passare interamente in ostello e così fu. Sfruttammo l'aperitivo dalle 6 alle 7, dove la birra era gratis, per dar via alle nostre danze. Ma eravamo ancora troppo provati dal giorno precedente, avevamo davvero la necessità di dormire anche perché il giorno dopo ci saremmo dovuti alzare molto presto per coprire quei 220km che ci riportavano nell'entroterra in direzione di quella che la nostra mappa chiamava Đak Lak, da dove poi sarebbe iniziato il nostro viaggio lungo il leggendario Hô Chì Minh Trail. Ma ovviamente non potevano mancare sorprese.




6 Novembre 2015

Ci siamo svegliati alle 7 giusto in tempo per approfittare della colazione gratis in ostello.
Tutto era pronto per il lungo viaggio che ci attendeva; mancava solo una cosa, il mio portafoglio. Si era come polverizzato nel nulla; ho provato a cercarlo ovunque e in tutte le stanze dell'ostello… era sparito.
Poi un barlume di luce; l'ultima immagine che avevo era di me la sera precedente che appoggiavo il portafoglio sul lavandino del bagno dell'ostello, dopo di che vuoto totale. Dovevo per forza averlo dimenticato lì, ma lì non c'era… qualcuno doveva averlo preso. L'unica cosa che potevo far in quel momento era bloccar la carta di credito.
In pochi secondi mi era crollato addosso tutto quanto… come potevo andar avanti? Non potevo più prelevare e nel portafoglio c'erano dentro gli ultimi contatti che tra l'altro avevo riscosso solamente il giorno prima. Fortunatamente non ero solo; sono stati gli altri ad offrirsi di anticiparmi i soldi fin tanto che non si fosse trovata una soluzione. Non potevo pagare o prelevare con la carta ma potevo comunque far un trasferimento online sui loro conti. Alla fine non dovevo disperarmi; fin tanto che ero con loro non c'era d'allarmarsi e poi con me avevo pur sempre la cosa più importante, il mio passaporto. 
Avevamo già perso troppo tempo, la giornata fuori era spettacolare e dovevamo affrettarci a partire. Ho lasciato i miei contatti alla reception dell'ostello nel caso fosse saltato fuori il mio portafoglio sebbene la mia carta era stata comunque bloccata e non potevano più farla riattivare.












Nha Trang quel giorno aveva tutto un altro volto. Era una giornata di quelle da passare interamente in spiaggia, in quelle acque limpide che ci tentavano più delle sirene nell'Odissea. 
La strada era in perfette condizioni e i panorami erano fantastici; per più di mezz'ora abbiamo costeggiato il mare per poi infine deviare verso l'interno. Le nostre moto godevano su quell'asfalto che sfrecciava sotto i nostri piedi. Abbiamo incominciato ad accelerare e a prendere le distanze l'uno dall'altro. Ci saremmo ritrovati alla congiunzione delle due strade principali dove avremmo abbandonato definitivamente la costa.
Sono arrivato lì per primo; ho aspettato un po' ma non c'era traccia dei ragazzi. Ho provato a contattarli sul cellulare e proprio in quell'istante mi è arrivato un messaggio da uno dei ragazzi della reception. <<Ciao Andrea, ho una bella notizia! Il tuo portafoglio è stato ritrovato e c'è dentro tutto>>.

Ero ad un ottantina di chilometri da Nha Trang che avrei percorso in poco meno di un'ora. Ho mandato un messaggio ai ragazzi di continuare, ci saremmo beccati a Đak Lak; io tornavo a riprendermi il mio portafoglio. Ho letteralmente mangiato la strada e in pochissimo tempo sono riapparsi di nuovo i grattacieli della città. Il mio portafoglio era intatto, non era sparito niente, ma comunque sia la carta era inutilizzabile. Quelli della banca non mi avevano avvertito che si poteva anche semplicemente sospenderla…
Ma la cosa più ridicola è che il portafoglio era stato trovato da una ragazza dell'ostello che evidentemente era entrata in bagno dopo di me. Lei ha avuto la brillante idea di riconsegnarlo alla reception (APERTA 24ORE SU 24) il mattino seguente perché al momento era troppo stanca. Una decisione direi… saggia! Grazie per avermelo tenuto al sicuro, ma la mia carta oramai non aveva più nessun valore.
Ho ringraziato i ragazzi dell'ostello e dopo aver comprato un casco di banane da un ambulante, son ripartito a tutta raffica per riprendere i ragazzi che nel frattempo non si erano ancora fatti vivi. Sarà che nessuno di loro avesse una SIM vietnamita?



Sono arrivato di nuovo fino alla circonvallazione, dei ragazzi non c'era traccia. Dovevo guidare senza mai fermarmi per arrivare a destinazione prima che facesse buio.
La strada ha ripreso a salire e in lontananza si scorgevano dei nuvoloni bianchi pieni di pioggia. Si tornava nuovamente sulle montagne. Le strade bagnate mi segnalavano che stavo inseguendo la pioggia e che ben presto mi sarei inzuppato. È così è stato! Ancora una volta ho dovuto affrontare gli infiniti tornanti sotto una fitta pioggia che per diversi chilometri mi ha accompagnato fino alla cima.
Poi d'improvviso ha smesso e tutto è tornato limpido. Le strade sembravano una lastra di vetro che rifletteva l'azzurro del cielo e il bianco delle nuvole. Ma quello che più mi ha affascinato ero ciò che mi circondava. Come se qualcuno tutto ad un tratto avesse aumentato la saturazione dei colori portando la vivacità del verde agli estremi. Mi son fermato qualche secondo per un sorso d'acqua e un'ulteriore banana (il mio unico pranzo). Il vapore fumava sull'asfalto e in pochi minuti le strade son tornate di nuovo asciutte e polverose.





Ho ripreso la marcia consapevole che mancavano ancora un sacco di chilometri. La strada cambiava in continuazione; alle volte si finiva proprio nel bel mezzo di un cantiere aperto, tra buche, sabbia e camion che ti tagliavano la strada. Ho continuato per chilometri e chilometri senza mai fermarmi. Non ce la facevo più! Ero esausto e non vedevo l'ora di arrivare in una Đak Lak che sembrava non esistere.
Il navigatore mi diceva di proseguire. Avevo gli occhi pesanti, pieni di polvere; non ne potevo più, volevo solo arrivare a destinazione e ritrovare gli altri ragazzi.
Poi il dubbio; ero veramente arrivato a destinazione? Il navigatore diceva di sì. Da lì a poco sarebbe diventato buio. Che fine avevano fatto i ragazzi? Possibile che li avessi superati?

Ho controllato meglio il GPS che ovviamente mi segnava di essere arrivato a Đak Lak, peccato che quello era il nome dell'intera provincia… non esisteva nessuna città di nome Đak Lak; il navigatore ci stava guidando semplicemente verso la città più grande dell'area: Buôn Ma Thuôt.
Avevo allungato la strada di parecchi chilometri ma per fortuna ero finito in tempo in una città grossa.  
Non c'era traccia di ostelli, l'unica era trovare una Guest House con una camera per quattro.
Non avevo ancora ricevuto un messaggio dei ragazzi ma conoscendoli dovevano aver fatto diverse pause e probabilmente in una di quelle li avevo superati.
Ho trovato così una sistemazione in una camera enorme con quattro posti letto, pregando di ricevere il prima possibile un segnale dai ragazzi… stavo iniziando a preoccuparmi.
Poi d'improvviso mi è squillato il cellulare. Jakob, l'unico con una SIM vietnamita, era riuscito a scrivermi, erano ad una ventina di minuti dalla città. Erano vivi!

E dopo poco più di venti minuti erano lì, no, era lì. Non era stato Jakob a scrivermi ma Eliot che aveva il suo cellulare. Aveva perso gli altri due e non c'era modo di contattarli. Dovevano per forza trovare un Wifi. Siamo rimasti per altre due ore senza una loro comunicazione; pregavamo perché non gli fosse successo qualcosa. Nel cielo si scorgevano dei lampi, un temporale si stava avvicinando. <<Fai che non siano ancora in strada>>. 
Abbiamo fatto quattro passi per la città mangiando del cibo per strada e gustandoci qualche birra dopo quell'infinita giornata. Poi dal nulla i nostri cellulari si sono illuminati. Romi e Jakob erano salvi. Erano rimasti parecchio indietro, imboccando una strada diversa. Ero un paio d'ore da noi e avevano trovato un posto dove fermarsi, quella era la cosa più importante! 

Eravamo tornati di nuovo sereni. Eliot stava impazzendo all'idea di aver perso i ragazzi lungo la strada e soprattutto di aver con sé il cellulare di Jakob.
Per fortuna eravamo entrambe sulla strada giusta. Il mattino seguente noi saremmo partiti prestissimo per recuperare i chilometri che ci dividevano; li avremmo beccati nel punto esatto dove le nostre strade si univano e insieme avremmo proseguito fino a Kon Tum.

7 Novembre 2015

Siamo usciti alle prime ore dell'alba. Avevamo un'ora di strada prima di trovarci con i ragazzi, ma il navigatore non aveva tenuto conto che a guidare eravamo io e Eliot.
Giacca di pelle, bandana davanti al viso e Ray-ban; abbiamo letteralmente mangiato la strada; in meno di mezz'ora eravamo arrivati al punto di ritrovo.
Non c'era modo di chiamare i ragazzi fin tanto che loro non avessero trovato una connessione Wifi. L'unica era fermarsi a bordo strada nel punto in cui sarebbero sicuramente passati. Ci avrebbero visto per forza! Ci siamo fermati a far colazione in quel baracchino sul ciglio dell'autostrada. Lì abbiamo aspettato per trenta minuti, poi un'ora, respirando un sacco di polvere e smog.




Ma dove erano finiti i ragazzi? Erano in super ritardo; poi ci è arrivato un loro messaggio. Non avevano trovato la circonvallazione, non ci avevano visto. Non so come sia stato possibile ma ci avevano superato. Erano ad un'ora da noi. Meno male che con le nuove tecnologie basta inviare la tua posizione ed inserirla nel GPS e in un attimo sei lì nel punto preciso.
Siamo risaltati sulla sella e in meno di quaranta minuti siamo arrivati nella città in cui Romi e Jakob si erano fermati per un caffè. Ho notato subito in lontananza le loro moto. Le uniche con allacciato dietro uno zaino; le moto dei backpackers!
Non vi dico la gioia nel rivederli sani e salvi, sorridenti ma soprattutto tutti interi. Finalmente eravamo di nuovo tutti assieme. Quella mattina li ho obbligati a farsi una SIM vietnamita così da non ritrovarsi di nuovo in una situazione del genere dove non si riesce a comunicare tramite cellulari, lasciando i sottoscritti in uno stato d'ansia indescrivibile.


Prima di rimetterci di nuovo in marcia, ci siamo gustati un ultimo caffè, quello vietnamita con il suo lungo processo di gocciolamento che ti regala tutta l'intensità del sapore del caffè. Questa volta c'era da galoppare. Niente più fermate fino al pranzo, non volevo ritrovarmi di nuovo nel bel mezzo della notte.

Inutile dirlo, appena usciti dalla città le strade sono diventate spettacolari. Intorno a noi solo il verde di campi, risaie e pascoli che si perdevano a vista d'occhio. La giornata era perfetta e il cielo non desiderava altro che essere fotografato. Quel cielo che rende un semplice scatto un paesaggio indimenticabile; semplicemente azzurro su cui scorre armonicamente un gregge di nuvole bianche che par essere infinito.














Sulla strada non c'era anima viva, c'eravamo solo noi. Tra curve e sali e scendi il paesaggio non smetteva mai di cambiare. Spesso si incontravano file di bambini su biciclette più grosse di loro tutti con la stessa identica uniforme che tornavano da scuola. Al nostro passaggio si metteva a ridire e ti salutavano sventolando le loro piccole manine. Sono stati momenti a dir poco emozionanti. Chiunque incontrassimo alzava la testa, interrompendo per un momento quello che stava facendo, e con un sorriso o con un semplice gesto di mano ci dava il benvenuto in quella bellissima terra poco battuta dai turisti.





Il tutto aveva assunto una sfumatura diversa, la guida non era più la stessa e anche il modo in cui vedevo le cose era cambiato. Avevo seguito il consiglio di Eliot. Ascoltare la musica mentre si guidava.
Bé forse non era il massimo della sicurezza, ma in quelle strade prive di mezzi non c'era bisogno di sentir i rumori delle altre vetture e il rumore della mia moto lo sentivo sempre e comunque.
Tutto era cambiato. Viaggiare con la musica nelle orecchie rendeva tutto completamente diverso, rendeva tutto magico. Non viaggiavi più solamente con gli occhi ma anche con la mente.
Il sorriso di un bambino a bordo strada, il raggio di sole che ti colpiva il viso, la discesa verso un'altra vallata, la serie di curve tra una fitta pineta, con la musica giusta nelle orecchie potevano trasformarsi in momenti indimenticabili.
Da quel giorno in poi avrei avuto con me sempre una colonna sonora come accompagnamento. Ovviamente quando partivano le canzoni giuste non esitavo a cantarle a squarcia gola, tanto a quella velocità nessuno mi avrebbe sentito!






Il sole stava calando e i colori si erano fatti più caldi quando le nostre moto sono giunte finalmente a Kon Tum. Eliot e Jakob si erano portati avanti e ci avevano già trovato una bella sistemazione in una camerata da quattro a due passi dal fiume; per la prima volta eravamo tutti assieme nella stessa stanza, eravamo veramente diventati una famiglia.
Io e Romi invece ci siamo fermati per qualche minuto ad ammirare i colori e i giochi dei riflessi sull'acqua del fiume alle porte della città. Era giunto il momento più bello della giornata, quando arrivati alla meta, il sole si ritira dietro alle colline.
Ci siamo gustati delle birre ghiacciate, un cibo di strada superbo, con quel pesce grigliato che difficilmente scorderò. Altri 230km che andavano premiati.













Quella sera avevamo voglia di festeggiare ma era un semplice giorno della settimana e nessun locale sembrava voler appoggiare la nostra idea. Così con una bella bottiglia di "Rice wine", una sorta di vodka, tipica di questi posti, ricavata dalla fermentazione del riso, abbiamo scatenato la festa all'interno della nostra stanza. Un degenero finito in una partita a streap poker. Peccato che gli unici a rimaner senza mutande siamo stati noi uomini. 


8 Novembre 2015

Ci attendeva una lunghissima giornata in sella lungo lo Hô Chì Minh Trail, davanti a noi c'erano più di 260km immersi completamente nel cuore del Vietnam per arrivare, incrociando le dita, prima di sera ad Hôi An. Dopo una colazione è stata d'obbligo una tappa dal meccanico per le oramai consuete manutenzioni delle nostre donne, le moto.


Come al solito uscire dal casino della città è stato non solo un conforto ma anche uno spettacolo; nuovamente si aprivano davanti a noi scenari fantastici. La giornata era favolosa, di quelle da poter girar in moto semplicemente in pantaloncini e maglietta a maniche corte.
Stavamo andando alla grande su per le montagne lungo quelle strade che ci portavano in paesini che difficilmente vedono il passaggio di stranieri. Eravamo veramente nel cuore del Vietnam centrale. Senza accorgercene avevamo tirato dritto superando la deviazione che ci avrebbe fatto continuare lungo lo Hô Chì Minh Trail. Eravamo finiti veramente in mezzo al nulla, in un villaggio all'estremità del Paese; a pochi chilometri da noi c'erano il Laos e la Cambogia; eravamo proprio nel punto in cui i tre stati si incontrano. Potevamo benissimo procedere e superare la dogana del Laos buttandoci alla cieca in una nuova avventura.
Al nostro arrivo in quel piccolo villaggio, dei ragazzini si sono avvicinati con aria curiosa. Ci studiavano dalla testa ai piedi chiedendosi molto probabilmente cosa facessimo lì. Due signore ci sono venute in contro chiedendoci di scattare delle foto insieme a loro. I bambini avevano tenuto però le loro distanze come impauriti da quei volti stranieri ma al tempo stesso curiosi. Era un gruppetto da immortalare sia in una foto che in un video. Ho acceso la mia GoPro sul fronte della moto e con un trucchetto semplice semplice sono riuscito ad farli avvicinare alla videocamera.
Li ho allungato un pacchetto di cicche (non accettare mai caramelle dagli sconosciuti… forse la loro mamma non gliel'aveva mai detto); si sono guardati l'uno con l'altro e alla fine il più coraggioso ha deciso di avvicinarsi e con lui il resto della ciurma. Ero contento, non tanto per la riuscita del video ma più che altro nel vedere i loro sorrisi stampati sulle facce e la loro timidezza svanir in un lampo.












A quel punto, dopo tutti quei chilometri, era inutile ritornar indietro, potevamo benissimo continuare lungo una strada alternativa che dopo un po' ci avrebbe rimesso sulla rotta giusta. Ebbene sì, ci eravamo persi ma stavamo per imboccare forse una delle strade più spettacolari che avremmo percorso in tutto il Vietnam. Una strada fantasma, che dico, una superstrada che su tutte le mappe era priva d'identità, priva di un nome.
Nel mentre abbiamo dovuto abbandonare Jakob. Per uno strano motivo il suo cambio non funzionava più. Faceva fatica a cambiare le marce e la pedivella sembrava sul punto di staccarsi. Non poteva continuare così. Ci ha detto di continuare, non voleva rallentarci. Appena la moto sarebbe stata riparata da qualcuno nel posto ci avrebbe raggiunto. Non potevamo interrompere lì la nostra giornata. Hôi An ci chiamava e la strada era ancora lunga.





Era davvero una superstrada fantasma. Entrambe le carreggiate erano a doppia corsia e l'asfalto era in perfette condizioni. Non si riusciva a spiegare tale capolavoro, in un punto così sperduto del Vietnam dove non passava alcun mezzo. Giuro, lungo tutto quel tratto avremmo incontrato solamente cinque o sei contadini alla guida di un motorino. Ci si poteva letteralmente sdraiare in mezzo a questa autostrada e con gli occhi chiusi sentire solamente il rumore del vento. Stavamo guidando sulla cresta di queste colline completamente verdi dove l'unico contrasto era la vivida terra arancione scavata fuori dalla mano dell'uomo durante questo imponente progetto fantasma.
Lunghe salite si alternavano ai tornanti in discesa. Ci siamo fermati all'altezza di un punto che avrà avuto sotto di sé un vuoto superiore ai quaranta metri. Sotto di noi scorreva solamente un piccolo ruscello in mezzo a quella infinita e densa macchia verde. Potevi benissimo urlare o chiedere aiuto e l'unica risposta sarebbe stata la tua stessa voce, che dopo un giro della vallata tornava verso di te. L'eco delle nostre voci erano la risposta di quella strada fantasma.
Tutto ciò è terminato su un'autostrada ancora più grande a tre corsie dove ai lati si scorgevano vecchi palazzi stile comunista completamente vuoti. Era come se in un tempo lontano tutto ciò che in quel momento vedevamo spento e morto, fosse sempre stato attivo e vivo.
















Qui ci siamo ricongiunti sull'Hô Chì Minh Trail dove io, Romi ed Eliot abbiamo ripreso la nostra marcia verso nord. I paesaggi non smettevano di stupirci. Più volte mi son fermato ad osservare gli  scorci di quella strada che scorreva parallela al fiume. In uno di questi c'era un ponte di legno e corde che lo attraversava; ero tentato ad attraversarlo ma non dava l'idea di essere molto franco.
In quel preciso momento si è avvicinato un signore. Un uomo che ad occhio e croce avrà avuto una sessantina d'anni; era ubriaco marcio e mi faceva morire dal ridere. Mi continuava a parlare e a sorridere; io che cercavo di parlarli in inglese e lui che mi parlava ininterrottamente in vietnamita. Alla fine con un'andatura a zig-zag si è incamminato verso l'altra sponda del fiume, in direzione di quello che molto probabilmente era il suo villaggio. Il ponte reggeva!








Ci siamo fermati a pranzare in quello che all'apparenza era un paesino dalle grandi dimensioni. Ci eravamo appena seduti al tavolo di un piccolo chiosco quando dal nulla è riapparso Jakob. Era riuscito a farsi sistemare la moto e in un battibaleno ci aveva raggiunto. Che bello, eravamo nuovamente tutti assieme pronti per ripartire verso Hôi An. È stato un mangia e fuggi in quanto mancavano ancora tanti chilometri alla meta e non potevamo permetterci di perdere troppo tempo.





Siamo passati in mezzo a villaggi minuscoli dove non era difficile incontrare gruppi di bambini che giocavano sulle strade e che al tuo passaggio alzavano la mano in segno di saluto e che con i loro sorrisi riuscivano a riempirti di gioia e a farti ancora emozionare.
Lo riconoscevano subito lo straniero. Riconoscevano il modello di moto, riconoscevano il rumore di quelle moto, riconoscevano i tuoi bagaglio e il tuo modo di vestire. Non aspettavano altro che un tuo gesto di mano. Eravamo la loro attrazione passeggera. Non dimenticherò mai i sorrisi di visi innocenti di quei bambini che in questi tempi riescono ancora a crescere e a divertirsi con poco e che al saluto di uno straniero non si spaventano ma anzi si sentono felici.




Siamo saliti di nuovo sulle montagne e stavolta non c'era traccia di pioggia. Il sole stava calando e i paesaggi e le strade si stavano riempiendo di colori sempre più caldi e saturi. La vista era sbalorditiva: montagne, montagne e poi montagne. E c'eravamo solo noi quattro su queste strade indimenticabili. Con la musica nelle orecchie, il sole che a sprazzi ti scaldava il viso e la strada che saliva e scendeva sembrava di viaggiare in un posto surreale fatto solo per noi.










Si stava davvero facendo buio e ci mancavano ancora più di due ore. Il sole era oramai dietro alle montagne. Le strade hanno incominciato a farsi sempre più scure e la nostra marcia sempre più lenta. Eravamo finiti in un'area circondata da foreste e con il calar del sole son saltati fuori migliaia e migliaia di insetti che mi hanno costretto a fermarmi a togliere le lenti e indossare gli occhiali da vista per ripararmi da quei proiettili alati.





Fortunatamente questa volta eravamo tutti muniti di luci e ciò ha reso tutto un po' più semplice. Saremmo arrivati ad Hôi An in un batter d'occhio anche se avvolti nelle tenebre.
Tutto sembrava andare per il meglio fino a quando ho tirato fuori il cellulare dalla tasca.

Avevamo sbagliato a svoltare, o meglio. Stavamo inconsciamente allungando la strada.
Ho deciso di accostare un secondo per controllare meglio la mappa. I ragazzi mi hanno superato continuando la loro marcia. Ho suonato il clacson e ho cercato anche di urlargli dietro ma niente, non si sono fermati. Stavano proseguendo per la strada sbagliata.
Ho accelerato a manetta nell'obiettivo di riprenderli il prima possibile. Dei ragazzi non c'era più traccia. Stavo viaggiando ad una velocità pazzesca immerso nel buio correndo il rischio di cadere in una buca improvvisa o semplicemente di scontrarmi con qualcosa in mezzo alla strada solo per riprendere i ragazzi. Erano spariti. Com'era possibile? Erano bastati quei due minuti per farli sparire nel nulla.
Mi son fermato di botto e urlato! <<Fanculo!>> dove caspita si erano cacciati? Perché non mi avevano aspettato? Io che mi ero sempre preoccupato di loro, di aspettarli, di attenermi ai loro ritmi e tempi, io che li avevo sempre soccorsi ero stato lasciato da solo.
Attorno a me non c'era nulla… non vedevo nulla. Ero solo.

Ero finito in una via senza lampioni. Riuscivo ad intravedere intorno a me delle case e qualcuno che camminava lungo la strada ma non avevo la minima idea di dove mi trovassi.
Il navigatore prendeva a tratti e l'indicatore mi indicava un punto impreciso sulla mappa.
Che cosa dovevo fare? Ho continuato per qualche chilometro e alla fine ho visto la luce di un baracchino. Al ragazzo ho solo chiesto Hôi An. Con il braccio mi ha fatto segno di proseguire indicandomi un punto indefinito di quella strada senza un minimo di illuminazione.
Ho fermato la moto un secondo e ho pensato dentro di me. <<Non so che fine abbiamo fatto gli altri e non so nemmeno perché non si siano fermati; fanculo loro e tutte le volte che sono stato a loro disposizione; era solo per loro se in quel momento mi trovavo in quella situazione di notte, per i loro ritmi, le loro continue pause e problemi di moto. E ora mi avevano lasciato lì; fanculo io ad Hôi An ci so arrivare anche da solo. La notte è lunga e prima o poi ci arriverò. Ho sempre risolto tutto da solo e anche questa volta ne uscirò vincitore>>. Li ho mandato un semplice messaggio che diceva <<Grazie per non avermi aspettato. Ci vediamo ad Hôi An>>. Ho acceso la moto, ho fatto un respiro profondo e son partito.

Ero immerso nel buio più totale, la strada cambiava in continuazione; diventava stretta, poi larga, prima trafficata e poi vuota, quasi spettrale; alle volte le corsie diventavano due e come per illuderti spuntavano anche i lampioni, ma il tutto durava per soli pochi chilometri. 
Il GPS iniziava a funzionare sempre di più. A tratti fortunatamente riuscivo a capire dove svoltare. Ero sulla rotta giusta. In quel buio avevo la costante paura dei cani che dal nulla ti attraversavano la strada, dei motorini privi di luci che ti sfrecciavano improvvisamente a fianco o delle buche che a quella velocità mi avrebbe fatto cadere sicuramente.
Poi ha iniziato a piovere. I miei occhiali da vista si appannavano in continuazione, le luci degli altri veicoli riflettevano sulle lenti bagnate come i fari di un campo da calcio. 
Ero stremato. Per due ore io e la mia fedele Trinh abbiamo viaggiati immersi in quella notte, in mezzo a quelle strade senza un nome e prive di indicazioni. Due ore in cui parlavo con me stesso e con la moto. Ma sono state due ore a dir poco fantastiche. Dopo la pioggia, durata alcuni minuti, il cielo si è aperto sopra la mia testa. I nuvoloni avevano lasciato spazio ad una stellata magnifica che con l'assenza di luci era ancora più nitida. Non è stato tanto quello a risollevarmi il morale, ma piuttosto è stato quell'asteroide, sì avete capito bene, non stella cadente, che si è incendiato proprio davanti ai miei occhi. Un fenomeno a cui avevo avuto la fortuna di assistere solo una volta nella vita, in Puglia, e ora mi era ricapitato lì in quel preciso momento, il momento. Quella scia nel cielo, come un segno divino, mi ha ridato speranza e mi ha caricato di una nuova energia.
Da lì a poco la strada ha incominciato a prendere colore e gli edifici a diventare sempre più numerosi. Ero arrivato sull'autostrada per Hôi An. In un batter di ciglia ero stato ributtato di nuovo in mezzo alla civiltà e ai camion e ai pullman che ti sfrecciavano a fianco a tutta velocità. Poi il navigatore mi ha fatto imboccare stradine minuscole dove incontravo solo motorini e biciclette. Ero salvo… stavo viaggiando in mezzo alle risaie, stavo entrando ad Hôi An. Poi ho scorto le luci di quel magico paesino. Ho accarezzato Trinh e l'ho ringraziata per avermi portato fin lì sano e salvo. Ho ringraziato il mio cellulare che mi ha salvato, sì questa volta senza tecnologia e senza uno smartphone non ce l'avrei mai fatta.
I miei occhi erano pesantissimi, l'ultimo sforzo era di trovar l'ostello che ci eravamo prefissati. Stavo percorrendo la via principale in cerca dell'insegna quando all'improvviso ho sentito una voce urlare il mio nome. Eliot dal lato opposto della strada mi guardava sotto l'insegna dell'ostello e correndomi incontro sorrideva. Mi son girato, ho spento la moto, mi son tolto il casco e l'ho guardato. Il mio gesto di istinto è stato un dito medio verso il suo volto e un bel Fuck ripetuto a più non posso. Ma al gesto d'istinto è seguito quello umano. L'ho abbracciato e mi son sentito felice di aver ritrovato la mia famiglia, una famiglia che mi aveva tradito ma che ero pronto a perdonare.
<<Non ti abbiamo più visto e non c'era modo di comunicare con i cellulari. Sapevamo che te la saresti cavata da solo e che ti avremmo ritrovato in ostello prima del previsto>>.
<<La vostra scusa non stai in piedi, poteva essermi successo qualcosa di grave, potevate semplicemente far dietro front. Ci son rimasto veramente male, ma ora dopo questi 260 e passa chilometri, l'unica cosa a cui vorrei pensare è mettere qualcosa sotto i denti e bermi una birra ghiacciata in vostra compagnia>>.

Quella notte son crollato nel letto immediatamente. È stata una notte piena di incubi. Mi son svegliato in continuazione e nelle mie orecchie riecheggiava di continuo il rombo della moto. Non volevo più sentir parlar di moto per almeno due giorni.



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