18 Novembre 2014
Non era stata abbastanza la gita fuori porta a Kangaroo Island. La partenza per il Western Australia è stata posticipata un'altra volta. Prima di lasciar definitivamente Glenelg non potevamo non far un'ultima gita tutti assieme, specialmente con le miei due donne: Claudia e Roberta.
La sera stessa del ritorno dall'isola, io, Luca e Claudia siamo andati a ritirare un'auto presa a noleggio presso l'aeroporto di Adelaide. Una stupenda Toyota Corolla nuova di pacca con cambio automatico. In vita mia non avevo mai guidato un'auto così moderna, pulita e, per i miei canoni, anche di "classe".
Per un viaggio così e in così poco tempo il mio caro piccolo Cody non ce l'avrebbe fatta sicuramente. Già un vero e proprio Viaggio con la v maiuscola o meglio ancora un'impresa; destinazione Alice Springs e Uluru, nel cuore dell'Australia.
Una meta tanto sognata, azzardata, su cui bisogna pensarci su bene prima di imbattercisi. 1750km di strada nel bel mezzo del nulla, senza rete e servizi, in cui si può rimanere senz'acqua e senza benzina, date le lunghe distanze tra una stazione di servizio e l'altra. Quattro giorni, di cui due passasti interamente in macchina, per una corsa contro il tempo.
Siamo partiti verso le 5.00 del mattino di sabato, carichi più che mai di viveri, acqua e persone, con l'idea di toccar terra ad Alice Springs all'imbrunire. Una macchina da cinque riempita fino all'ultimo centimetro disponibile. Io, Luca, Claudia, Andrea e Roberta per un viaggio solo all'italiana. Stiracchiarsi o allungarsi in macchina era pressoché impossibile. Ci avevano detto addirittura che saremmo arrivati ad odiarci a vicenda e a scannarci vivi per lo scarso spazio vitale.
Era la prima volta che mi avventuravo così a nord di Adelaide, lungo la A1; davanti ai miei occhi si stavano presentando paesaggi completamente nuovi. Spazi aperti, infiniti, quasi innaturali. Più ci allontanavamo dalla città, più le case e le luci incominciavano a sparire. Intorno a noi solo distese di frumento che non avevano un fine. Colline e campi d'orati interrotti solo dal passaggio di trattori e metitrebbiatrici mai viste così grandi.
Dopo circa cinque ore siamo arrivati a Port Augusta, adagiata nel punto più interno dello Spencer Gulf tra la York e la Eyre Peninsula. Il punto d'accesso all'outback e il punto di inizio delle Flinders Ranges, il crocevia dell'Australia dove partono highway e linee ferroviarie che si snodano verso ovest attraverso il Nullarbor fino al Western Australia, verso nord fino alle Flinders Ranges o a Darwin, verso sud fino ad Adelaide o Port Lincoln, e in direzione est fino a Sydney.
Da cui sempre dritto lungo la Stuart Hwy, che penetra nel cuore rosso dell'Australia; seconda sosta e prima benzina a Pimba non tanto distante da Woomera, prima cittadina dell'outback , la cui storia è legata a oscuri test nucleari e missilistici. Le tribù aborigene locali subirono gravi conseguenze in seguito alla caduta radioattiva.
Dopo 370km, senza una traccia umana ma solo canguri, pecore e addirittura bovini investiti lungo la strada, ecco che quell'arido e desolato deserto improvvisamente appare cosparso di buche e cumuli di terra; siamo giunti a Coober Pedy, la capitale dell'opale, un minerale con cui si fanno in particolare gioielli. Una cittadina assolutamente unica e a dir poco particolare; una desolata aberrazione umana al centro di una pianura arida e soffocante. La tipica città popolata da persone, dal mio punto di vista, "strane" e "inquietanti" che vivono in abitazioni sotterranee.
Strade infinite, perennemente dritte, dove l'effetto del caldo e del sole creavano delle vere e proprie piscine all'orizzonte. Per fortuna avevamo il cambio automatico e la possibilità di impostar una velocità costante, controllabile direttamente dal volante. 110/130 km/h fissi e rettilinei lunghi anche centinaia di chilometri. Mai visto nulla di simile. Attorno a noi il paesaggio era infinitamente uguale e allo stesso tempo infinitamente diverso. Ogni 100km c'era un cambio netto della vegetazione: dal nulla più assoluto alle distese di arbusti, dagli alberi di eucalipto alla sabbia rossa; un mix continuo di sfumature, colori e pattern che scorrevamo veloci al nostro fianco, e con la musica di sottofondo, guardando fuori dal finestrino, a volte sembrava di rivivere il video musicale Star Guitar dei The Chemical Brothers, tutto si ripeteva e si ripeteva regolarmente, quasi a tempo di musica.
Ogni tanto capitava di incrociare qualche altra vettura, ogni venti minuti ad andar bene; qui il saluto non si toglie a nessuno; il tipico saluto delle due dita… mani fisse sul volante ed indice e medio che si alzano in segno di saluto. E non solo vetture ma anche ciclisti o persone a piedi muniti solo di uno zaino e carrello. E tu ti chiedi? Ma questi dove vanno? Cosa ci fanno qui? Quale coraggio li spinge in queste imprese?
In lontananza si vedevano passare treni merci lunghi anche un paio di chilometri. E poi loro, i leggendari road train, lunghissimi, con anche 3 rimorchi al seguito. Bestie a motore che per nulla al mondo si fermano, nemmeno se si trovano davanti una mucca da 100kg. Una scena tragica ma al tempo stesso davvero buffa: un bovino più grande della nostra macchina lì a bordo strada, gonfia e rigida con le zampe verso il cielo e il tir 100 metri più avanti. E ogni tanto capitava di incontrare qualche over size, con case, macchinari, strutture edili o caterpillar da miniera a rimorchio, che potevano occupare anche entrambe le carreggiate.
In queste distese appariva ogni tanto qualche lago salato completamente prosciugato o monoliti simili ad Uluru ma decisamente di stazza inferiore. Auto abbandonate o bruciate. E poi i rapaci… mai visto in vita mia così tanti falchi e aquile. Aquile enormi dall'apertura alare di un metro e mezzo; sopra le nostre teste o ammassate sulle carcasse a bordo strada. Emù, a volte da soli a volte in coppia, mai visti prima d'ora, eppure così frequenti, qui, nel bel mezzo del nulla; e poi i canguri rossi, i famosi canguri del deserto, più alti di quelli del South Australia ma sinceramente di stazza inferiore. Sinceramente pensavo di vederne molti di più, ma alla fine, e forse potrei dire per fortuna, ne abbiamo incrociati davvero pochi.
Sosta in ogni benzinaio lungo la strada (ovvero ogni 200km o più) per far il pieno e il costo della benzina che saliva a poco a poco, quando alla fine, dopo ore e ore in macchina, siamo arrivati al confine con lo stato del North Territory, il quarto stato per me.
Kulgera la prima città di questo stato ci fa notare che non siamo più nella terra di nessuno ma che siamo entrati nella terra della bandiera a strisce nere e rossa con in mezzo il cerchio giallo. Finalmente i primi volti scuri; bambini dai visi dolcissimi con occhi profondi e riccioli biondi. Siamo nella terra degli aborigeni e finalmente, ma ancora (purtroppo) limitatamente, lì si vede in mezzo alla gente e non più in disparte, nascosti nei parchi come succedeva ad Adelaide.
Il sole stava già tramontando e ad Alice Springs ci mancava ancora un sacco di strada. Viaggiare di notte? C'è sempre stato sconsigliato… troppi animali che ti attraversano la strada, troppi pericoli. E dove ci fermavamo? Eravamo in mezzo al nulla… la strada iniziava a salire, ecco i primi promontori, ecco finalmente le prime luci della città a fondo valle.
Dopo circa diciassette ore e 1.750km siamo arrivati ad Alice Springs quando era già buio pesto e fortuna vuole che ci hanno aperto i cancelli di un campeggio. Con noi avevamo solo la mia tenda da due/tre persone e dentro ci dovevamo dormire in cinque. Ma la nostra piccola Roberta ha saggiamente deciso di dormir in macchina dato che già in quattro eravamo praticamente oltre ai limiti di vivibilità.
Non contenti della lunga giornata passata in auto, abbiamo deciso di far un giro per questa città avvolta nelle tenebre. Siamo andati in centro (semplicemente una via) e qui ha iniziato a piovere. Ma io dico… siamo nel bel mezzo del deserto dove la possibilità di piogge è pari all'uno per cento e quella notte non ha mai smesso di piovere. Un paio di birrette in un bel locale stile vivaio e poi nanna… sì, nanna.
La tenda era già fradicia, ma per fortuna i materassini e i sacco a peli non ancora. Dico non ancora perché tempo un paio d'ore eravamo bagnati anche noi. Acqua che filtrava e io con la faccia incollata al bordo della tenda. Avremmo chiuso gli occhi un'oretta in tutta la notte. La peggior esperienza della mia vita. Mai dormito così male in una tenda. E mi auguro non si ripeta mai più. Ma alla fine l'abbiamo buttata sul ridere, cos'altro si poteva fare.
Il mattino dopo sempre sotto la pioggia, dopo una bella carbonara per colazione, abbiamo fatto un giro veloce lungo la via principale della città. Alice Springs, la città simbolo dell'outback, isolata tra gli altopiani in mezzo al deserto rosso. Piccola nel suo complesso e a mio avviso meno sorprendente del previsto e per questo abbiamo deciso di ripartir subito per l'Uluru-Kata Tjuta National Park. Marcia indietro e altre sei ore immersi nel rosso di questa sabbia simbolo del cuore australiano.
Dopo aver piantato la tenda in un campeggio appena fuori dal parco naturale, ci siamo diretti immediatamente verso Uluru per goderci il tramonto. 25$ per l'entrata al National Park valida per tre giorni di fila; i proprietari ufficiali del parco sono gli anangu o meglio le popolazioni aborigene degli pitjantjatjara e yankuntjatjara, per i quali riveste una profonda importanza culturale, ma la gestione è in gran parte in mano a Parks Australia.
Infine eccolo lì, spuntare all'orizzonte, proprio di fronte a noi… e mentre la strada scorreva io non riuscivo a staccar gli occhi da quell'enorme monolito in mezzo a una distesa piatta e infinita di arbusti. Era enorme e di una forma praticamente perfetta. Non mi vergogno a dire che mi stavo quasi emozionando. Mai in vita mia avevo visto qualcosa di così maestoso. Mi sono sentito un'insignificante formica.
Uluru o Ayers Rock, una roccia lunga 3,8km che si innalza di 348m dal territorio sterposo circostante e raggiunge una quota di 867m sopra il livello del mare. E come se non bastasse, tre terzi della roccia sono sommersi sotto la sabbia. Di un color ocra, inciso e punteggiato di ombre scure, i segni dell'acqua o meglio delle cascate che solo se si è fortunati è possibile ammirare dopo degli abbondanti acquazzoni. Uno spettacolo a cui purtroppo non abbiamo potuto assistere.
Mi ha un po' sorpreso il fatto che si potesse arrivare fino a lì in macchina, fino ai piedi della montagna e soprattutto che ci fosse una strada tutt'attorno percorribile in auto. Questo ha rovinato un po' il suo fascino. Il tramonto è stato emozionante, la roccia ha presto assunto un color arancione, il cielo è diventato rosso e a poco a poco si è nascosto dietro l'orizzonte, la roccia è poi passata dal rosso ad un color nero fumo. Bellissimo.
Il mattino dopo sono riuscito a svegliar la ciurma prima del sorgere del sole, sebbene il "Dolce Rosso" della sera prima abbia reso le cose più difficili del previsto. Il cielo era limpido e le stelle brillavano in cielo. Siamo arrivati nel luogo fissato quando si stava già facendo chiaro. Ecco spuntar il sole ed ecco che inizia il gioco di ombre e colori sulla roccia. Praticamente l'effetto inverso del tramonto. Una luce bellissima, degli scatti bellissimi e un mal di testa bestiale. Colazione con nutella e cookies proprio di fronte a Uluru. Questa è la colazione dei campioni non quella che vi fanno vedere alla tv.
Poco più tardi siamo tornati ai piedi della montagna dove per fortuna siamo riusciti a beccare una simpatico ranger aborigeno che ci ha accompagnato lungo un versante di Uluru, spiegandoci tutta la storia, l'importanza culturale e religiosa di questo luogo. È una montagna misteriosa che nasconde segreti e al tempo stesso malignità; oltre 35 persone sono morte mentre tentavano l'ascesa e altre sono morte dopo essere entrati nelle aree sacre; tutto a causa di Uluru o pura casualità? La salita sulla montagna è molto spesso vietata e sconsigliata, causa vento, caldo eccessivo o pioggia in arrivo; la salita stessa è fisicamente impegnativa. Ma al tempo stesso è luogo sacro per la popolazione locale e la scalata è un oltraggio e va contro la loro religione. Salire o non salire? Nel 2020, fra sei anni chiuderanno per sempre i cancelli e la salita sarà vietata; Uluru tornerà in mano alla popolazione locale. Ho pensato che si vive solo una volta nella vita; se madre natura ha creato questa montagna, io volevo vederla, volevo vedere cosa si provava a salire lì sopra e lo spettacolo che si poteva ammirare. La religione è qualcosa al di fuori, se sei credente non ci sali… se ho peccato, qualcosa o qualcuno mi punirà; son salito con rispetto: rispetto verso a chi lo considera un luogo di culto e rispetto verso la montagna; tranquillo, rispettando le regole, avrei camminato scalzo se solo le condizione l'avessero permesso.
Il nostro caro amico ranger ci ha fatto capire che quella è la Loro cultura e nessuno poteva vietarci di salire; lui stesso si è informato sulle condizioni meteorologiche per farci salire e ci ha aperto i cancelli; ci ha avvertito della difficoltà della scalata e sconsigliato di uscire dal percorso, ma soprattutto ci ha chiesto di affrontare il tutto nel pieno rispetto. E così abbiamo fatto.
Claudia e Roberta ci hanno rinunciato dopo appena cinquanta metri. La salita era una cosa pazzesca; una pendenza superiore ai 50% che mi ha stremato.. nel tratto iniziale c'era addirittura una catena per aiutarsi. Nel salire mi sono sentito un po' in colpa; io stesso stavo modificando l'aspetto di questa meraviglia di madre natura. Da lontano è inevitabile non notare la striscia bianca formata dal passaggio nel corso degli anni dei numerosi turisti. E poi queste catene nella roccia, per non parlare delle linee bianche dipinte sulla roccia per segnalare tutto il percorso fino alla cima più alta. E poi la salita è finita, distrutto. Mi giro e il mio cuore smette di battere per qualche secondo. Non avevo mai provato un'emozione del genere. Eravamo in cima ad Uluru. Intorno a noi centinaia di chilometri di deserto. Il nulla. In cima solo noi tre ragazzi. Sembrava di essere finiti su un altro pianeta o addirittura sulla Luna. Una roccia rossa fatta di sali e scendi, pendii e salti nel vuoto. Non so cosa ho provato lassù in cima. Paura? Meraviglia? Non so. Siamo rimasti su per un po' nel silenzio più assoluto; mai sentito così tanta pace.. si forse in montagna da noi, ma una sensazione così non l'avevo mai avvertita.
Dopo aver scattato qualche foto e contemplato il silenzio, decidiamo di ritornar sul pianeta Terra, avevamo lasciato le ragazze giù senza acqua e senza le chiavi della macchina. C'era da scendere con cautela, il rischio di scivolar giù e non fermarsi non era da sottovalutare. Ma poi ho fermato Andrea e gli ho detto <<Aspetta un attimo… sediamoci qua ancora qualche secondo; guarda qui. Quando ti ricapiterà di ammirare tanta meraviglia? Io credo solo oggi. Voglio godermi questi ultimi secondi prima di dirgli per sempre addio>>. Vi è mai successo di scattare una foto con gli occhi? Intendo focalizzare un'immagine e imprimerla nella vostra mente? Ecco quella ce l'avrò per sempre dentro di me. Non dimenticherò mai quel momento.
La giornata era ancora lunga e così ci siamo spostati verso Kata Tjuta o Monti Olgas a 35km da Uluru; 36 massi che formano vallate e gole superando di 200m in altezza anche Uluru. Il ranger ci aveva detto che secondo ricerche scientifiche, questi due monoliti un tempo erano uniti, formando un unico arco lungo quanto la distanza tra i due, che poi nel corso dei millenni si è sgretolato; questo spiegherebbe la presenza della sabbia rossa attorno a questa zona.
Qui abbiamo percorso un piccolo tratto della Valley of The Wind. Eravamo stremati dalla lunga giornata e non vedevamo l'ora di riposar un po' in attesa della sveglia alle 4 per tornar ad Adelaide.
L'ultimo giorno, come potete immaginare, abbiamo ripercorso tutta la strada nel senso opposto, passando l'intera giornata in macchina, tra musica, risate, deficenza, foto e video stupidi. Nel bel mezzo del deserto abbiamo poi incrociato una coppia di ragazzi in fin di vita scappati non so come da Wolf Creek.. per fortuna che in quel momento passavamo di lì noi.
Siamo arrivati a casa a pezzi e giusto in tempo per riconsegnare indietro la macchina. Sporca, puzzolente e con 3.700km in più… un bel rodaggio per questa Toyota consegnataci con su solo 300km.
Un'esperienza indimenticabile di un viaggio infinito verso una meta che per la sua posizione non sapevo come e quando sarei riuscito a vedere. Un grazie particolare a Claudia che si è sbattuta a trovar una macchina e tutto il resto.
Un ultimo viaggio insieme alle due ragazze; un ultimo viaggio prima di salutarsi definitivamente. Un saluto che sarebbe arrivato da lì a pochi giorni.
Solo una cosa vorrei aggiungere. Come avevo già detto per Kangaroo Island, io sto dando il massimo per comunicarvi e mostrarvi quello che sto vedendo e vivendo qua. Ma nulla riuscirà a descrivervi in modo preciso quello che questi occhi stanno vivendo e vedendo in questa terra che non smette mai di stupirmi. Ricordatevi… si vive una volta sola. Non lasciate che questo mondo rimanga sempre solo qualcosa scritto nei libri e fotografato da qualcun altro. Vivetelo.

























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