sabato 14 maggio 2016

Fermata Bangkok

24 Novembre 2015

Ricordo poco o nulla di quel volo che da Hanoi mi ha condotto fino all’aeroporto di Bangkok; sono crollato come un sasso dopo le poche ore di sonno della notte precedente.
Ero nuovamente in un’altra terra straniera, la Thailandia; un tocca e fuggi di un giorno e mezzo nella capitale thailandese prima del ritorno definitivo in Australia.
È stato un biglietto che oramai avevo già acquistato tempo addietro, l’idea iniziale sarebbe stata quella di girare in un solo mese Vietnam, Cambogia, Laos e Thailandia per poi rendersi conto che un mese non era nemmeno abbastanza per vivere fino in fondo il solo Vietnam.

Con zaino grosso sulle spalle, zainetto davanti e cappellino vietnamita sulla testa mi son trovato catapultato nel caos dell’aeroporto di Bangkok; la città da lì distava più di 30km e gli unici mezzi per raggiungerla erano i taxi o i trasporti pubblici.
Ho aperto il portafoglio dove all’interno potevo contare solo poche banconote… era tutto ciò che mi rimaneva, non potevo prelevare né tanto meno chiedere un anticipo a qualcuno. Con me avevo molto probabilmente qualcosa come 50$ e dovevo farmeli bastare per gli spostamenti, l’alloggio, i pasti etc, si parlava di circa 1.300 Baht.

Ho chiesto quanto costasse il taxi per arrivar fino a Khao San Road, la zona che da tutti mi era stata consigliata, quella con più movimento, vita e giovani, il prezzo finale si aggirava sui 600 Baht, con un andata e ritorno avrei fatto fuori praticamente tutti i soldi, bisognava trovare una soluzione alternativa.
Mi sono incamminato verso la stazione dei treni, il biglietto per Bangkok costava se non ricordo male qualcosa come 15 Baht, una cavolata. Ho preso del cibo per strada e sotto il caldo soffocante ho atteso l’arrivo del treno.
Ero tornato a far il pendolare, mi son seduto su quei seggiolini con tutti gli occhi puntati addosso, ero forse l’unico occidentale su quel treno; il paesaggio scorreva lungo il finestrino al mio fianco scandito dal costante sferragliare del treno sui binari; erano più di due anni, più di due anni che non salivo su un treno, in Australia l’unico mezzo sui binari era stato il tram. I vietnamiti avevano tratti completamente diversi rispetto ai Vietnamiti, sguardi e modi di vestire erano dissimili.


Ero già da parecchio tempo su quel treno senza la minima idea di dove dovessi scendere. Ho aperto la mappa gentilmente regalatami da una signora americana conosciuta in aeroporto ma non riuscivo a venirne a capo, i nomi delle stazioni non erano gli stessi che potevo leggere sulla mappa.
Poi una voce mi ha svegliato <<Do you need a help?>>, un signore sulla sessantina d’anni era fermo in piedi di fianco a me. Parlava un inglese perfetto, così pure il signore tutto tatuato che sembrava essere con lui.
Si son seduti di fianco a me studiando attentamente la mappa; scendere alla prossima fermata e prendere un pullman sarebbe stato il modo più veloce ed economico per arrivare a Khao San.
Sono stati molto gentili, mi hanno detto per filo e per segno dove trovar il pullman, il numero della linea e il costo, mi hanno avvertito di non prenderlo se era parecchio affollato, di sedermi nei posti in fondo e di tener sott’occhio tutti i bagagli. Incominciavano già a piacermi questi thailandesi!


Il pullman è costato anche lui una cavolata, so solo di aver lasciato qualche monetina al controllore che rispondeva solo con sorrisi, cenni di testa e gesti… ho capito solo a fine corsa che era muto.
Lui stesso mi ha fatto cenno quando scendere, mettendo per la prima volta piede nella famosa città di Bangkok; ero a Khao San Road e il primo obiettivo era quello di trovar un ostello dove lasciar tutte le mie cose, ma erano tutti pieni, non c’era nemmeno un posto letto libero.
Spendendo qualcosa di più alla fine son riuscito a trovar una stanza privata in una guest house di una strada parallela; per lo meno avevo una stanza fresca tutta mia, un letto comodo e “pulito” ed un bagno.

Era già pomeriggio inoltrato e non avevo ancora mangiato niente; ho girato un po’ per le vie attorno, infilandomi tra le bancarelle, il cibo di strada e la movida di Khao San. Mi aspettavo una Bangkok molto più caotica e trafficata ma in realtà non c’era nulla di tutto ciò; sarà stata la zona quasi completamente pedonale e molto probabilmente anche l’orario, da quanto mi avevano detto Khao San e vie limitrofe si riempivano di gente durante la notte.

Mi son fatto tentare dai profumi di quei carretti con bombole del gas lungo la strada che cucinavano di tutto e di più a prezzi che tradotti in euro erano incredibili, si partiva dai 10 Baht fino ai 50 (ovvero dai 20 centesimi sino a poco più di un euro). Ho mangiato praticamente solo Pad Thai, che a lungo dire non è proprio il loro piatto tipico ma sicuramente quello che va di più tra i turisti, noodles di riso saltati in padella con uova, arachidi, verdure, gamberetti o carne.
Ho assaggiato anche i famosi frappé o succhi di frutta fatti al momento, nulla da ridire, la frutta fresca lì è eccezionale.

Ero parecchio provato per le poche ore di sonno e il caldo e l’umidità di quella serata mi stavano distruggendo; avrei voluto assistere alla night life di Bangkok e divertirmi insieme all’ondata di occidentali che a poco a poco si erano ammassati sulle strade. La musica nei locali era diventata sempre più alta, i tavolini all’aperto andava ad occupare l’intera strada, i bar offrivano birra e cocktail a prezzi scontatissimi, c’era divertimento in ogni angolo in cui giravi, ma io non potevo permettermi di buttar all’aria i soldi, davanti a me avevo ancora una giornata da spendere, dovevo ritornar in aeroporto e al tempo stesso aver abbastanza soldi per sopravvivere quelle 22 ore di attesa all’aeroporto di Singapore.


Son tornato in stanza e dopo una doccia freddissima mi son buttato sotto le coperte mentre fuori dalla finestra il caos di Bangkok iniziava la sua nottata.

25 Novembre 2015

Ho lasciato tutti i miei bagagli alla reception di quella guest house che faceva anche da internet point al cui interno c’era anche un fast food. Fuori c’era una giornata incredibile che non aspettava altro di essere vissuta. Avevo tempo fino alle quattro di pomeriggio prima di saltar nuovamente sui mezzi per recarmi in aeroporto; volevo visitare il più possibile, ma al tempo stesso dovevo tener conto del mio budget, non potevo permettermi di visitar più di un tempio (a pagamento) e dovevo muovermi esclusivamente a piedi. 

Ho camminato come un disperato per tutte le vie di Bangkok, fino al fiume che la divide a metà, per poi tornar nuovamente verso i suo palazzi e imponenti templi dalle guglie dorate e i tetti a punta. Ho deciso di investire gli ultimi soldi in uno solo di questi, non per forza il più bello, il Wat Pho; uno dei tanti tempi buddisti presenti nella città, composto da un insieme di edifici su un’area di 80.000 metri quadrati nelle vicinanze del Gran Palazzo Reale, forse più conosciuto per il famoso Buddha Sdraiato, una tra le più grandi statue esistenti in Thailandia; al suo interno ci sono più di 1.000 immagini e statue di Buddha, sculture in marmo, bassorilievi e decorazioni con ceramiche cinesi multicolori che esaltavano l’inconfondibile stile orientale.


In quel momento si stava celebrando la preghiera, un canto, un lamento unico incitato dai monaci con le loro tonache arancioni e le teste rasate. Sono riuscito a rubare qualche scatto senza disturbare la cerimonia, ho visitato la sale interne fino alla statua più venerata, quella del Buddha in posizione di meditazione, i cui muri sono affrescati con immagini sacre, il tutto ovviamente a piedi scalzi.





Ovunque mi giravo non c’era un qualcosa che non fosse rivestito d’oro, le statue sulle pagode, le guglie e tutto splendeva sotto quella giornata stupenda. Tutto era perfetto e pulito senza il minimo segno del tempo. Poi sono entrato nell’ultima sala, quella ovviamente più affollata dove per l’intera lunghezza del tempio stava sdraiato pacificamente su un lato il colossale Buddha di 46m in lunghezza e 15m in altezza; il suo corpo è rivestito d’oro, gli occhi e i piedi sono decorati con madreperla e sulle piante dei piedi sono raffigurate 108 scene abbellite da conchiglie in stile cinese e indiano.


La giornata stava diventando veramente calda, fortunatamente con il biglietto d’ingresso era compresa anche una bottiglietta d’acqua! Da lì ho continuato il mio giro tornando verso Khao San. Mi sono infilato attraverso vie meno battute, tra i canali, le vie pedonali e la gente comune.




Era oramai ora di tornar a riprendere i bagagli e salire su un pullman che mi avrebbe accompagnato questa volta fino al capolinea dei treni. Sempre grazie all’aiuto delle persone del posto, dell’autista del pullman sono riuscito a trovar la strada giusta; la stazione dei treni era davvero enorme, ho preso il biglietto e mi son seduto in attesa che arrivasse il mio treno. 



Mi son rilassato per qualche minuto su quelle poltrone comode facendo scorrere sotto i miei occhi più di venti giorni di foto del Vietnam, poi ho tirato fuori il biglietto, ho riletto il numero di binario, ho alzato gli occhi verso il tabellone… il mio treno stava per partire! Sono corso fuori come un razzo e fortuna vuole che il binario era lì proprio davanti a me, giusto il tempo di salire e si son chiuse le porte; ero di nuovo l’unico occidentale in mezzo ai pendolari locali; i paesaggi fuori erano diversi rispetto all’andata, questa volta il treno passava a fianco di un sacco di baracche dove le case o capanne in lamiera erano addossate sui binari, qui i bambini vi giocavano e la gente ci cucinava mentre io guardavo fisso fuori dal finestrino; le numerose soste mi hanno dato la possibilità di buttar la testa fuori dal finestrino e qui ho scattato a mio parere una delle foto più belle e significative di questo viaggio… un bambino che mi guardava con aria curiosa mentre sporgeva dal finestrino, poi mi son girato e dall’altra parte c’era lo sguardo perso di una donna di mezza età.

I miei lunghi viaggi fuori dal finestrino erano interrotti solo dall’ingresso nel vagone dei venditori di bibite, cibarie e spiedini di carne che facevano la loro sfilata lungo il treno per non so quante volte.
Il sole stava calando e la luce si era fatta arancione, i miei occhi stavano crollando e il mio volo sarebbe partito tra poco più di due ore; il viaggio non finiva più, non ero nemmeno sicuro di essere sul treno giusto, ho chiesto ad un ragazzo davanti a me che non parlava un minimo di inglese, gli ho indicato il nome dell’aeroporto che ovviamente non era scritto in thailandese; lui mi ha fatto comunque segno che ero sulla strada giusta e che non mancava molto. Ma il tempo passava e il treno continuava ad andare, solo dopo altri venti minuti ho visto finalmente un’autostrada di fianco a me e un cartello con una svolta che indicava l’aeroporto, sì ero arrivato nella stessa stazione del giorno precedente. Mi son precipitato giù dal treno e sono corso verso il mio terminal, Scoot era lì ad aspettarmi; quella sera non avrei cenato e sull’aereo non servivano alcun pasto.

Mi son seduto vicino al finestrino, davanti a me non c’era alcun sedile, potevo bellamente sdraiarmi, a fianco avevo solo un ragazzo, stava tornando anche lui in Australia a Sydney e guarda a caso era italiano! Un’altro backpacker scappato dalla terra natale per la prospettiva di un futuro in una terra straniera.
Quella notte c’era la Full Moon, la Luna piena e ovviamente in Thailandia si festeggiava e io chiaramente partivo; ma lo spettacolo la Luna me l’ha regalato lì in cielo, sopra le nuvole; era la prima volta che assistevo ad uno panorama del genere. Sotto di noi c’era un mare di latte di un bianco intenso, sotto di noi c’erano le nuvole e fuori dal finestrino era giorno… ma quello non era il Sole ma bensì la Luna, una Luna piena che ha reso quell’ambiente surreale; quella sera ho visto che aspetto ha il Paradiso.

Sono arrivato a Singapore che era oramai mezza notte, non c’era aperto nemmeno un bar e con me avevo solo quale Baht. Avevo solo tanta voglia di riposare, ho trovato un bar che oramai aveva già chiuso, mi son messo su un tavolino, ho unito due divanetti e mi son chiuso sotto il cappellino vietnamita; non ho dormito praticamente niente e alle 7 mi son sentito toccare sulla spalla, era la ragazza del bar, stavano aprendo e io dovevo andarmene. Era l’inizio di una lunghissima giornata da passare in aeroporto.
Quello di Singapore è famosissimo per essere uno degli aeroporti più moderni e principali del Sud-Est Asiatico, pieno di punti relax, svago, negozi, giardini botanici e attrazioni… sì ma solo una volta superato il check-in, Scoot la mia compagnia aerea apriva i check-in alle 20.00, io in tutto quell’arco di tempo dovevo attendere all’esterno del terminal.
Tredici ore infinite dove ho fatto più e più volte il giro di quell’immenso aeroporto; ho scoperto vie sconosciute, angoli forse non accessibili al pubblico, ho visto più e più volte gli stessi negozi e riletto più e più volte gli stessi cartelli; non sapevo più come far passar il tempo, ho praticamente finito di leggere un libro, non avevo nemmeno il computer con me per sistemare qualche foto, ho realizzato un time-lapse mentre mi spostavo con il carrello; in quelle 13 ore ho dovuto gestire i restanti soldi che avevo in tasca… ho cambiato tutti gli spiccioli che avevo raccogliendo qualcosa come 7$ singaporiani, l’equivalente di 4,60€. Sono andato per cambiarli… a fianco a me c’era una coppia australiana che stava cambiando 1.000$ in contanti, io ho accatastato le uniche monetine che avevo. Quello doveva bastare per la mia colazione, il mio pasto e la mia cena, doveva essere una spesa saggia e soprattutto economica. Ho fatto una ricerca e sono venuto a scoprire che c’era una sorta di supermercato all’interno dell’aeroporto, qui ho fatto la mia spesa: una bottiglia d’acqua da 1 litro, un casco di banane, due mele, una brioche, un misto di frutta secca, del pane a fette e una scatoletta di tonno… ero riuscito a farmi bastar tutto e con quello ho tirato l’intera giornata.
Mai come in quell’occasione ho sognato tanto l’Australia… no vedevo l’ora di tornare e di rivedere finalmente mio fratello, Carlotta, il van e tutti gli amici di Byron Bay. Avevo voglia di una bella doccia fresca, di un cambio pulito e soprattutto avevo voglia di ritornar a buttarmi nell’oceano, era quasi un mese che non sentivo più il sale sulla mia pelle e tra i miei capelli.
Ancora poche ore e sarei atterrato in Gold Coast dove ad aspettarmi c’erano Luca e Carlotta. 
Ore 23.00 l’aereo era finalmente partito.

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