sabato 14 maggio 2016

Fermata Bangkok

24 Novembre 2015

Ricordo poco o nulla di quel volo che da Hanoi mi ha condotto fino all’aeroporto di Bangkok; sono crollato come un sasso dopo le poche ore di sonno della notte precedente.
Ero nuovamente in un’altra terra straniera, la Thailandia; un tocca e fuggi di un giorno e mezzo nella capitale thailandese prima del ritorno definitivo in Australia.
È stato un biglietto che oramai avevo già acquistato tempo addietro, l’idea iniziale sarebbe stata quella di girare in un solo mese Vietnam, Cambogia, Laos e Thailandia per poi rendersi conto che un mese non era nemmeno abbastanza per vivere fino in fondo il solo Vietnam.

Con zaino grosso sulle spalle, zainetto davanti e cappellino vietnamita sulla testa mi son trovato catapultato nel caos dell’aeroporto di Bangkok; la città da lì distava più di 30km e gli unici mezzi per raggiungerla erano i taxi o i trasporti pubblici.
Ho aperto il portafoglio dove all’interno potevo contare solo poche banconote… era tutto ciò che mi rimaneva, non potevo prelevare né tanto meno chiedere un anticipo a qualcuno. Con me avevo molto probabilmente qualcosa come 50$ e dovevo farmeli bastare per gli spostamenti, l’alloggio, i pasti etc, si parlava di circa 1.300 Baht.

Ho chiesto quanto costasse il taxi per arrivar fino a Khao San Road, la zona che da tutti mi era stata consigliata, quella con più movimento, vita e giovani, il prezzo finale si aggirava sui 600 Baht, con un andata e ritorno avrei fatto fuori praticamente tutti i soldi, bisognava trovare una soluzione alternativa.
Mi sono incamminato verso la stazione dei treni, il biglietto per Bangkok costava se non ricordo male qualcosa come 15 Baht, una cavolata. Ho preso del cibo per strada e sotto il caldo soffocante ho atteso l’arrivo del treno.
Ero tornato a far il pendolare, mi son seduto su quei seggiolini con tutti gli occhi puntati addosso, ero forse l’unico occidentale su quel treno; il paesaggio scorreva lungo il finestrino al mio fianco scandito dal costante sferragliare del treno sui binari; erano più di due anni, più di due anni che non salivo su un treno, in Australia l’unico mezzo sui binari era stato il tram. I vietnamiti avevano tratti completamente diversi rispetto ai Vietnamiti, sguardi e modi di vestire erano dissimili.


Ero già da parecchio tempo su quel treno senza la minima idea di dove dovessi scendere. Ho aperto la mappa gentilmente regalatami da una signora americana conosciuta in aeroporto ma non riuscivo a venirne a capo, i nomi delle stazioni non erano gli stessi che potevo leggere sulla mappa.
Poi una voce mi ha svegliato <<Do you need a help?>>, un signore sulla sessantina d’anni era fermo in piedi di fianco a me. Parlava un inglese perfetto, così pure il signore tutto tatuato che sembrava essere con lui.
Si son seduti di fianco a me studiando attentamente la mappa; scendere alla prossima fermata e prendere un pullman sarebbe stato il modo più veloce ed economico per arrivare a Khao San.
Sono stati molto gentili, mi hanno detto per filo e per segno dove trovar il pullman, il numero della linea e il costo, mi hanno avvertito di non prenderlo se era parecchio affollato, di sedermi nei posti in fondo e di tener sott’occhio tutti i bagagli. Incominciavano già a piacermi questi thailandesi!


Il pullman è costato anche lui una cavolata, so solo di aver lasciato qualche monetina al controllore che rispondeva solo con sorrisi, cenni di testa e gesti… ho capito solo a fine corsa che era muto.
Lui stesso mi ha fatto cenno quando scendere, mettendo per la prima volta piede nella famosa città di Bangkok; ero a Khao San Road e il primo obiettivo era quello di trovar un ostello dove lasciar tutte le mie cose, ma erano tutti pieni, non c’era nemmeno un posto letto libero.
Spendendo qualcosa di più alla fine son riuscito a trovar una stanza privata in una guest house di una strada parallela; per lo meno avevo una stanza fresca tutta mia, un letto comodo e “pulito” ed un bagno.

Era già pomeriggio inoltrato e non avevo ancora mangiato niente; ho girato un po’ per le vie attorno, infilandomi tra le bancarelle, il cibo di strada e la movida di Khao San. Mi aspettavo una Bangkok molto più caotica e trafficata ma in realtà non c’era nulla di tutto ciò; sarà stata la zona quasi completamente pedonale e molto probabilmente anche l’orario, da quanto mi avevano detto Khao San e vie limitrofe si riempivano di gente durante la notte.

Mi son fatto tentare dai profumi di quei carretti con bombole del gas lungo la strada che cucinavano di tutto e di più a prezzi che tradotti in euro erano incredibili, si partiva dai 10 Baht fino ai 50 (ovvero dai 20 centesimi sino a poco più di un euro). Ho mangiato praticamente solo Pad Thai, che a lungo dire non è proprio il loro piatto tipico ma sicuramente quello che va di più tra i turisti, noodles di riso saltati in padella con uova, arachidi, verdure, gamberetti o carne.
Ho assaggiato anche i famosi frappé o succhi di frutta fatti al momento, nulla da ridire, la frutta fresca lì è eccezionale.

Ero parecchio provato per le poche ore di sonno e il caldo e l’umidità di quella serata mi stavano distruggendo; avrei voluto assistere alla night life di Bangkok e divertirmi insieme all’ondata di occidentali che a poco a poco si erano ammassati sulle strade. La musica nei locali era diventata sempre più alta, i tavolini all’aperto andava ad occupare l’intera strada, i bar offrivano birra e cocktail a prezzi scontatissimi, c’era divertimento in ogni angolo in cui giravi, ma io non potevo permettermi di buttar all’aria i soldi, davanti a me avevo ancora una giornata da spendere, dovevo ritornar in aeroporto e al tempo stesso aver abbastanza soldi per sopravvivere quelle 22 ore di attesa all’aeroporto di Singapore.


Son tornato in stanza e dopo una doccia freddissima mi son buttato sotto le coperte mentre fuori dalla finestra il caos di Bangkok iniziava la sua nottata.

25 Novembre 2015

Ho lasciato tutti i miei bagagli alla reception di quella guest house che faceva anche da internet point al cui interno c’era anche un fast food. Fuori c’era una giornata incredibile che non aspettava altro di essere vissuta. Avevo tempo fino alle quattro di pomeriggio prima di saltar nuovamente sui mezzi per recarmi in aeroporto; volevo visitare il più possibile, ma al tempo stesso dovevo tener conto del mio budget, non potevo permettermi di visitar più di un tempio (a pagamento) e dovevo muovermi esclusivamente a piedi. 

Ho camminato come un disperato per tutte le vie di Bangkok, fino al fiume che la divide a metà, per poi tornar nuovamente verso i suo palazzi e imponenti templi dalle guglie dorate e i tetti a punta. Ho deciso di investire gli ultimi soldi in uno solo di questi, non per forza il più bello, il Wat Pho; uno dei tanti tempi buddisti presenti nella città, composto da un insieme di edifici su un’area di 80.000 metri quadrati nelle vicinanze del Gran Palazzo Reale, forse più conosciuto per il famoso Buddha Sdraiato, una tra le più grandi statue esistenti in Thailandia; al suo interno ci sono più di 1.000 immagini e statue di Buddha, sculture in marmo, bassorilievi e decorazioni con ceramiche cinesi multicolori che esaltavano l’inconfondibile stile orientale.


In quel momento si stava celebrando la preghiera, un canto, un lamento unico incitato dai monaci con le loro tonache arancioni e le teste rasate. Sono riuscito a rubare qualche scatto senza disturbare la cerimonia, ho visitato la sale interne fino alla statua più venerata, quella del Buddha in posizione di meditazione, i cui muri sono affrescati con immagini sacre, il tutto ovviamente a piedi scalzi.





Ovunque mi giravo non c’era un qualcosa che non fosse rivestito d’oro, le statue sulle pagode, le guglie e tutto splendeva sotto quella giornata stupenda. Tutto era perfetto e pulito senza il minimo segno del tempo. Poi sono entrato nell’ultima sala, quella ovviamente più affollata dove per l’intera lunghezza del tempio stava sdraiato pacificamente su un lato il colossale Buddha di 46m in lunghezza e 15m in altezza; il suo corpo è rivestito d’oro, gli occhi e i piedi sono decorati con madreperla e sulle piante dei piedi sono raffigurate 108 scene abbellite da conchiglie in stile cinese e indiano.


La giornata stava diventando veramente calda, fortunatamente con il biglietto d’ingresso era compresa anche una bottiglietta d’acqua! Da lì ho continuato il mio giro tornando verso Khao San. Mi sono infilato attraverso vie meno battute, tra i canali, le vie pedonali e la gente comune.




Era oramai ora di tornar a riprendere i bagagli e salire su un pullman che mi avrebbe accompagnato questa volta fino al capolinea dei treni. Sempre grazie all’aiuto delle persone del posto, dell’autista del pullman sono riuscito a trovar la strada giusta; la stazione dei treni era davvero enorme, ho preso il biglietto e mi son seduto in attesa che arrivasse il mio treno. 



Mi son rilassato per qualche minuto su quelle poltrone comode facendo scorrere sotto i miei occhi più di venti giorni di foto del Vietnam, poi ho tirato fuori il biglietto, ho riletto il numero di binario, ho alzato gli occhi verso il tabellone… il mio treno stava per partire! Sono corso fuori come un razzo e fortuna vuole che il binario era lì proprio davanti a me, giusto il tempo di salire e si son chiuse le porte; ero di nuovo l’unico occidentale in mezzo ai pendolari locali; i paesaggi fuori erano diversi rispetto all’andata, questa volta il treno passava a fianco di un sacco di baracche dove le case o capanne in lamiera erano addossate sui binari, qui i bambini vi giocavano e la gente ci cucinava mentre io guardavo fisso fuori dal finestrino; le numerose soste mi hanno dato la possibilità di buttar la testa fuori dal finestrino e qui ho scattato a mio parere una delle foto più belle e significative di questo viaggio… un bambino che mi guardava con aria curiosa mentre sporgeva dal finestrino, poi mi son girato e dall’altra parte c’era lo sguardo perso di una donna di mezza età.

I miei lunghi viaggi fuori dal finestrino erano interrotti solo dall’ingresso nel vagone dei venditori di bibite, cibarie e spiedini di carne che facevano la loro sfilata lungo il treno per non so quante volte.
Il sole stava calando e la luce si era fatta arancione, i miei occhi stavano crollando e il mio volo sarebbe partito tra poco più di due ore; il viaggio non finiva più, non ero nemmeno sicuro di essere sul treno giusto, ho chiesto ad un ragazzo davanti a me che non parlava un minimo di inglese, gli ho indicato il nome dell’aeroporto che ovviamente non era scritto in thailandese; lui mi ha fatto comunque segno che ero sulla strada giusta e che non mancava molto. Ma il tempo passava e il treno continuava ad andare, solo dopo altri venti minuti ho visto finalmente un’autostrada di fianco a me e un cartello con una svolta che indicava l’aeroporto, sì ero arrivato nella stessa stazione del giorno precedente. Mi son precipitato giù dal treno e sono corso verso il mio terminal, Scoot era lì ad aspettarmi; quella sera non avrei cenato e sull’aereo non servivano alcun pasto.

Mi son seduto vicino al finestrino, davanti a me non c’era alcun sedile, potevo bellamente sdraiarmi, a fianco avevo solo un ragazzo, stava tornando anche lui in Australia a Sydney e guarda a caso era italiano! Un’altro backpacker scappato dalla terra natale per la prospettiva di un futuro in una terra straniera.
Quella notte c’era la Full Moon, la Luna piena e ovviamente in Thailandia si festeggiava e io chiaramente partivo; ma lo spettacolo la Luna me l’ha regalato lì in cielo, sopra le nuvole; era la prima volta che assistevo ad uno panorama del genere. Sotto di noi c’era un mare di latte di un bianco intenso, sotto di noi c’erano le nuvole e fuori dal finestrino era giorno… ma quello non era il Sole ma bensì la Luna, una Luna piena che ha reso quell’ambiente surreale; quella sera ho visto che aspetto ha il Paradiso.

Sono arrivato a Singapore che era oramai mezza notte, non c’era aperto nemmeno un bar e con me avevo solo quale Baht. Avevo solo tanta voglia di riposare, ho trovato un bar che oramai aveva già chiuso, mi son messo su un tavolino, ho unito due divanetti e mi son chiuso sotto il cappellino vietnamita; non ho dormito praticamente niente e alle 7 mi son sentito toccare sulla spalla, era la ragazza del bar, stavano aprendo e io dovevo andarmene. Era l’inizio di una lunghissima giornata da passare in aeroporto.
Quello di Singapore è famosissimo per essere uno degli aeroporti più moderni e principali del Sud-Est Asiatico, pieno di punti relax, svago, negozi, giardini botanici e attrazioni… sì ma solo una volta superato il check-in, Scoot la mia compagnia aerea apriva i check-in alle 20.00, io in tutto quell’arco di tempo dovevo attendere all’esterno del terminal.
Tredici ore infinite dove ho fatto più e più volte il giro di quell’immenso aeroporto; ho scoperto vie sconosciute, angoli forse non accessibili al pubblico, ho visto più e più volte gli stessi negozi e riletto più e più volte gli stessi cartelli; non sapevo più come far passar il tempo, ho praticamente finito di leggere un libro, non avevo nemmeno il computer con me per sistemare qualche foto, ho realizzato un time-lapse mentre mi spostavo con il carrello; in quelle 13 ore ho dovuto gestire i restanti soldi che avevo in tasca… ho cambiato tutti gli spiccioli che avevo raccogliendo qualcosa come 7$ singaporiani, l’equivalente di 4,60€. Sono andato per cambiarli… a fianco a me c’era una coppia australiana che stava cambiando 1.000$ in contanti, io ho accatastato le uniche monetine che avevo. Quello doveva bastare per la mia colazione, il mio pasto e la mia cena, doveva essere una spesa saggia e soprattutto economica. Ho fatto una ricerca e sono venuto a scoprire che c’era una sorta di supermercato all’interno dell’aeroporto, qui ho fatto la mia spesa: una bottiglia d’acqua da 1 litro, un casco di banane, due mele, una brioche, un misto di frutta secca, del pane a fette e una scatoletta di tonno… ero riuscito a farmi bastar tutto e con quello ho tirato l’intera giornata.
Mai come in quell’occasione ho sognato tanto l’Australia… no vedevo l’ora di tornare e di rivedere finalmente mio fratello, Carlotta, il van e tutti gli amici di Byron Bay. Avevo voglia di una bella doccia fresca, di un cambio pulito e soprattutto avevo voglia di ritornar a buttarmi nell’oceano, era quasi un mese che non sentivo più il sale sulla mia pelle e tra i miei capelli.
Ancora poche ore e sarei atterrato in Gold Coast dove ad aspettarmi c’erano Luca e Carlotta. 
Ore 23.00 l’aereo era finalmente partito.

mercoledì 4 maggio 2016

Goodbye Vietnam - Part 6 - Sulla Strada Del Ritorno

20 Novembre 2015

Sarà stata l'una di notte quando il temporale ha fatto il suo arrivo; non so cosa stesse accadendo là fuori ma il rumore della pioggia era assordante e i tuoni scandivano ad intervalli questa forte ma gradevole colonna sonora. Era da tanto tempo che non sentivo più il rumore del temporale di notte, raramente mi era successo di incontrarne in Australia.

La sveglia segnava le 7.00 del mattino ma fuori pioveva ancora… una pioggia incessante ma sicuramente meno intensa rispetto a quella del mattino precedente. Dovevamo metterci in marcia ma sotto quell'acqua era impensabile, soprattutto dopo la stancante giornata del dì precedente; abbiamo indugiato fino alle 9.00 del mattino quando finalmente il cielo ha deciso di illuderci concedendoci una tregua.
Bảo Lạc era sommersa dall'acqua e dal fango, eppure le strade e la città erano colme di persone e motorini, la vita non si fermava.
Tutto quello che fino alla sera prima c'era stato nascosto dal buio della notte ora era davanti ai nostri occhi; stavamo viaggiando lungo quegli altopiani verdi e fitti di vegetazione, completamente inzuppati dall'acqua; la stessa sorte è toccata a noi dopo solo pochi chilometri… ha ripreso a gocciolare, a piovigginare, a piovere, a diluviare, a tuonare, le strade in pochi secondi erano diventate fiumi marroni, i pendii cascate e il cielo uno strobo da discoteca. In men che non si dica le nostre facce e le nostre scarpe erano zuppe d'acqua. Per fortuna il poncio e i sacchi impermeabili degli zaini stavano compiendo il loro lavoro. Era impossibile continuare e soprattutto altamente pericoloso; siamo riusciti a trovar riparo sotto il porticato di un'abitazione lungo la strada aspettando il passaggio di questa tempesta.





Era un classico temporale tropicale che in pochi minuti ha scatenato tutta la sua potenza rovesciando sulla strada tutto ciò che poteva portarsi con sé. In un attimo si era passati dal freddo assurdo al caldo umido di un sole post pioggia.
Abbiamo ripreso a salire e a scendere lungo strade davvero impraticabili, non saprei nemmeno come descrivervele, sassi ovunque, buche che occupavano l'intera carreggiata, in poche parole tutti i mezzi si ritrovavano a viaggiare e ad incrociarsi lungo una lingua di strada larga quanto un motorino, facendo zig zag tra i mille ostacoli.

Dopo aver perso ancora più volte la catena mi son fermato da un meccanico chiedendogli gentilmente di dargli un'occhiata e provar a risolvere il problema; doveva essere accorciata, il fatto che saltava spesso, soprattutto nelle salite, era perché era troppo allentata. Dopo quella volta lì non ho avuto più problemi. Ho recuperato i ragazzi sperando che quello fosse stato l'ultimo inghippo della giornata. Ma il nostro caro Jakob, o meglio la sua moto, anche quella volta doveva metterci alla prova.
Eravamo appena usciti da un tratto di nebbia a cui è seguito un sole infuocante quando il biondo danese ha fermato la moto; qualcosa non andava con la sua catena, si era spezzata!
Non volevo crederci, stava succedendo ancora… non eravamo nemmeno a metà strada e già stava accadendo; una moto senza catena non resta altro che spingerla.
Eravamo ovviamente in mezzo al nulla sulle più remote montagne e sotto un sole che in quel momento non c'era assolutamente d'aiuto. L'ho spinto nuovamente lungo questi pendii che a differenza della sera precedente si facevano ancora più ripidi; più volte è saltato giù dalla moto spingendola in corsa come per farci capire che il problema era suo e doveva affrontarlo in prima persona. Avrei voluto lanciargli addosso tutti gli insulti del mondo ma poi l'ho guardato correre su quelle salite senza mai cedere e ad ogni tornante il suo volto si faceva sempre più sorridente; non ho mai visto una persona affrontare con così tanta fierezza tutte le disgrazie senza mai darsi per vinto… in quel momento l'ho ammirato.



Siamo finalmente giunti in un paesino dove un gruppo di ragazzini ha subito notato la nostra situazione. Accerchiati dall'intera famiglia, il papà della situazione dopo un'interminabile ora di lavoro ha provato a riallacciare la catena. Stava su, la ruota girava e la catena pure. L'abbiamo ricompensato e siamo ripartiti, è bastato inserire la seconda e la catena era di nuovo a terra.  Scena memorabile, il silenzio più imbarazzante tra noi e la famiglia… era stato tutto un lavoro inutile e vani sarebbero stati i tentativi di riprovarci nuovamente.


Ancora una volta con la gamba distesa e il mio piede sulla sua pedivella, tra prima e seconda siamo ripartiti lungo queste montagne; non so per quanto siamo andati avanti così, esausti ed affamati non vedevamo l'ora di arrivare al paese successivo, ma di tutto ciò non c'era traccia. A quel passo non saremmo mai arrivati ad Hà Giang, né tanto meno a Sapa.

Poi nel nulla più totale ecco spuntare una scritta: Xe Máy, meccanico.
Sulla soglia della porta sono apparsi due bambini e poi lei, quella donna… la donna dai denti neri e la bocca color sangue. Era la prima volta che ne vedevo una dal vivo e mi son sempre chiesto da dove arrivasse quella caratteristica. Poi ho scoperto che era semplicemente una tradizione delle tribù locali, molto usata in Vietnam. Il colore rosso acceso delle gengive  è causato dalla noce di betel che viene masticata in modo simile al tabacco, mentre i denti vengono anneriti tramite una pasta; un rituale che veniva usato in diverse aree del Sud-Est asiatico e che certificava la ragazza/donna "matura e pronta per il matrimonio". Purtroppo non ho avuto il coraggio di chiederle una foto ritratto.
Era un meccanico piuttosto strano, che faceva anche da negozio di merendine e prodotti di prima necessità. Il padrone di casa stava dormendo, è uscito dal suo letto, un semplice materasso nell'unica stanza di casa chiuso sui quattro lati da una tendina.
Lui, un uomo sulla cinquantina d'anni, con canottiera bianca e catenozza d'oro al collo, ciglia folte inarcate verso l'alto, il ritratto della persona cattiva… a confermarlo la sua espressione fredda. Ma era uno che il suo lavoro lo sapeva fare; mentre noi ci abbuffavamo di patatine e scherzavamo con i figli, lui in quattro e quattr'otto ha sostituito la catena; ci ha stretto la mano e lì finalmente l'ho visto sorridere, era stato proprio un brau fio.



Ora non c'erano più scuse, dovevamo spingere i nostri motori al massimo. È stata una corsa contro il tempo, finalmente riassaporavamo l'ebrezza della velocità, l'aria sulla nostra pelle, Hà Giang era alle porte e Romi era lì ad aspettarci e con lei c'era una nuova compagna… la sua nuova moto!


Finalmente eravamo di nuovo tutti assieme. Quella sera abbiamo festeggiato con una cena a base di pesce su un ristorante galleggiante in mezzo al fiume che scorreva in mezzo alla strada; i miei giorni in Vietnam stavano per finire, ancora tre giorni e avrei preso quel volo che mi avrebbe portato a Bangkok ed infine indietro in Australia.

21 Novembre 2015

Siamo usciti dalla guest house che era ancora buio, la sveglia era suonata alle 5.30. 250km ci separavano da Sapa, questa famosa cittadina a 1.650m di quota vicino al confine con la Cina, lì dove inizia un'estremità dell'altopiano dell'Himalaya.

La strada era perfetta, dopo tanto tempo eravamo tornati finalmente su una via principale dove potevamo tirar al limite le nostre moto. Eravamo nuovamente noi quattro, ad inseguirci, superarci e a scherzare lungo la strada; Romi con la sua nuova moto sembrava ancor più sicura e determinata nella guida, la moto di Jakob era tornata finalmente a funzionare, mentre io ed Eliot potevamo finalmente far divertire ancora le nostre bambine, Trinh e Frieda.

Abbiamo continuato così fino all'imbocco con la strada che ci avrebbe ributtato verso ovest, qui le condizioni sono cambiate nuovamente; deboli gocce di pioggia han fatto ritorno sui nostri impermeabili, il fango ha incominciato a ricoprire le nostre moto e le nostre scarpe; le piogge dei giorni precedenti avevano reso le strade impraticabili, ricoperte da un unico strato di fango. La cosa più che abbatterci ci ha fatto divertire, rischiando più volte di perdere il controllo della moto che con i loro copertoni non erano sicuramente adatti ad un terreno del genere; e più andavamo avanti, più le condizioni peggioravano, eravamo letteralmente sommersi nel fango ma per lo meno sotto un sole pazzesco che aveva sostituito il grigiore delle ore precedenti. 





Tutto è continuato fino a quando ci siamo trovati nuovamente davanti ad un bivio. A sinistra saremmo finiti sulla strada principale che ci avrebbe portato fino a Lào Cai per poi salire fino a Sapa, a destra saremmo finiti su una strada secondaria che parallelamente ci avrebbe condotto sempre a Lào Cai ma da nord; anche se sulla mappa potevano apparire grosse, quando si trattava di strade secondarie non si poteva mai sapere di cosa si trattasse veramente.
Nel frattempo ho colto l'occasione per sostituire il copricanna che nei giorni precedenti si era rotto a causa dei continui sobbalzi lungo le strade, fino a lì l'avevo fissato in qualche modo con del nastro adesivo.
Romi, Eliot e Jakob non avevano dubbi, avremmo svoltato a sinistra; più volte ho voltato la testa verso sinistra e verso destra… sarebbe stata la mia ultima giornata in moto, l'ultima volta su quelle strade con Trinh, dopo ben 22 giorni passati interamente insieme e circa 2.600km; mi son voltato e ho detto <<Ragazzi ci vediamo a Sapa, io vado a destra lungo la strada secondaria>> e la decisione è stata saggia. Non potevo sapere cosa mi avrebbe atteso e soprattutto quali condizioni stradali; la mappa segnava alcuni tornati fino a raggiungere Lào Cai dal nord, sull'estremo confine con la Cina.
Volevo concedermi questo ultimo giorno solo con lei, sotto quella giornata di sole che ora non vedeva nemmeno una nuvola in cielo; ero pieno di fango, Trinh era irriconoscibile e il mio fondoschiena non dava più segni di vita, ma quell'ultima corsa in Vietnam volevo gustarmela immerso nei paesaggi delle montagne e non lungo un'autostrada colma di camion e senza l'ebrezza di curve, salite e discese.

Mi son rimesso le cuffie e ho fatto partire la nostra canzone, la nostra colonna sonora che in tutti i viaggi ci ha accompagnato e con il ritmo metallico della sua chitarra acustica ci ha fatto sognare in quei posti di un altro mondo… lasciatevi incantare anche voi: John Butler Trio - Ocean (Live @ St. Gallen)

È stata un'ultima volta indimenticabile, la strada era sorprendentemente perfetta così come lo erano gli scorci e i paesaggi attorno a me. A stento riuscivo a crederci di aver compiuto tutti quei chilometri e di aver superato così tante prove, di non essere mai caduto e di non aver mai avuto seri problemi con la moto; a stento ero riuscito a realizzare che tutto stava finendo, che quella sarebbe stata molto probabilmente la mia ultima esperienza lungo quei percorsi che mai avrei pensato di calpestare, io, Andrea su una moto lungo il fottuto Vietnam… eppure l'avevo fatto.


La mia mente ha viaggiato per quelle quasi due ore in solitaria attraverso i numerosi paesini dove le strade erano invase da fogli di legno lasciati lì ad essiccare, ho pensato a tutto quello che mi era successo in quei quasi due anni fuori dall'Italia dove in così poco e così tanto tempo ho fatto e ho imparato più di quello che la vita mi aveva dato nei 24 anni precedenti; mi son sentito per la prima volta una persona matura, completa e invulnerabile; in quei pochi istanti ho pensato che qualunque cosa avessi voluto fare, avrei potuto realizzarla. Ho capito che nella vita difficilmente mi sarei visto con un posto fisso, con i piedi sotto una scrivania dove con la testa bassa sulla tastiera di un computer ci avrei passato probabilmente l'intera esistenza, io, uno dei tanti laureati in Design della Comunicazione… ho capito che nella vita volevo essere come dire "diverso", nella vita avrei dato il primo posto al piacere e non al dovere. Che poi, questo dovere cos'è? Dovere verso chi? Sicuramente non verso di noi. No, l'unico dovere nella vita è il dovere di mettere sé stessi sempre al primo posto, sentirsi realizzati, godere di ogni singolo giorno, di ogni singolo istante e non porsi limiti in ciò che si fa e si crede. Il dovere deve essere causa e conseguenza del piacere e viceversa. 

Poi ecco sventolare davanti ai mie occhi la bandiera cinese, ero alle porte di Lào Cai e stavo costeggiando il fiume che mi divideva dalla grande nazione. Qui ho ritentato ancora una volta di entrare in terra straniera, ma non vi era modo, la Cina era davanti a me, dietro quei cancelli dove gente con permessi poteva tranquillamente oltrepassare facendo avanti ed indietro tra le due città di confine, Lào Cai e la cinese Hekou dove i grattacieli e le insegne riportavano scritte e manifesti in caratteri cinesi.





Erano già le tre di pomeriggio e non avevo ancor toccato una briciola di pane sin dalla colazione appena dopo la nostra partenza. Ho incominciato a girare lungo la città ma nulla riusciva ad attirar la mia attenzione, poi ecco spuntare un cartello, Sapa 33km.
Abbiamo fatto trenta, facciamo trentuno, ho preso la svolta e ho tirato dritto verso questa piccola ma turistica città del Vietnam del Nord.
Questa fama turistica si poteva già vedere dai numerosi bus che correvano lungo le sue strade che tra strapiombi e vedute fantastiche a poco a poco mi portavano sempre più in alto. Un gran premio della montagna di un dislivello di circa 700 metri; sarebbero stati gli ultimi veri chilometri per me e Trinh e potevo sentire il rumore del suo pianto su quella montagna che richiedeva solo la seconda marcia o al massimo la terza. Non avevo ancora incontrato una pendenza tale che molto spesso per istinto mi portava ad appoggiarmi e far peso sul manubrio temendo un'impennata all'indietro.
Più si saliva più l'aria si faceva fredda, preannunciando l'arrivo imminente di Sapa.
In quell'ultimo tratto, quando la moto emanava dei profumi di bruciato, gli ho parlato e come una fedele compagna, una sorella, una storia di amore gli ho sussurrato dolci parole, facendole sentire la mia presenza, la presenza della mia mano su di lei, grazie Trinh, grazie per questa esperienza indimenticabile e per aver tenuto duro fin qua, per avermi portato sulle tue spalle e aver retto tutto il peso di questo lungo e stancante viaggio, grazie per non avermi mai… azz proprio sull'ultima curva ecco scivolare la ruota ma con non so quali riflessi son riuscito a mettere giù il piede e a riprendere il controllo della moto; silenzio, l'ho guardata e le ho detto <<Grazie!>>, la moto mi aveva parlato ma senza farmi del male.



Sapa era un paesino in cima ad un altopiano, i 1.650 metri si facevano sentire, così come l'aria che si era fatta più pulita e che ti penetrava fino al midollo. Tutto d'un tratto sembrava di essere finiti in un altro Paese, non sembrava più di essere in Vietnam, l'architettura era diversa, i paesaggi erano diversi, la vegetazione, i volti delle persone e i loro costumi, quei costumi tradizionali che ancora oggi vengono indossati dalle miriadi di famiglie di contadini che ovviamente sono diventate anche la maggior attrazione del posto, le tribù di Daos e Hmong.
Con i loro abiti dai mille colori e i loro volti color rame questi gruppi di ragazze e bambine ti propongono tour presso i loro villaggi, offrendo vitto e alloggio e l'esperienza di visitare con loro questi altopiani e le terrazze di riso, il tutto ovviamente a piedi.

E proprio mentre ero in attesa degli altri ecco avvicinarsi a me tre graziose ragazzine; il loro abbigliamento era saturo di colori, buffo ma al tempo stesso elegante e raffinato, i loro volti erano sorridenti con quei tratti scolpiti dal sole di queste montagne che lascia sulla loro pelle il rosso di questa terra, dei volti indimenticabili.
Parlavano un inglese perfetto, mi hanno accompagnato in un piccolo mercatino, meno battuto dai turisti dove ho avuto un pranzo eccezionale ad un prezzo bassissimo.
Ho scambiato due chiacchere con loro che mi hanno raccontato del loro villaggio e delle escursioni di trekking che organizzavano e poi come dal nulla ecco sbucare una testa dalla sacca a tracolla di uno di loro; era suo figlio che silenziosamente dormiva sulla schiena di questa giovane madre che dalla statura e dall'aspetto fisico non avrei mai detto che fossero più vecchie di me, loro erano Mù, Sì e la terza non mi ricordo più il nome. Non scorderò mai lo sguardo di quel bambino, quegli occhi penetranti, limpidi e profondi.

Infine sono arrivati anche gli altri, ci avevo impiegato quasi un'ora in meno di loro che avevano preso quella che doveva essere la strada più veloce, un'autostrada su cui i motorini non potevano accedere, dove camion e macchine sfrecciavano a tutta velocità, eppure loro erano riusciti ad imboccarla percorrendola tutta. Ancora una volta avevo fatto la scelta giusta.


Abbiamo trovato una stanza per quattro, abbiamo girato a piedi il piccolo centro di Sapa dove era facile incontrare turisti occidentali attratti dai numerosi negozi di artigianato dei prodotti delle tribù indigene.
Lungo quelle stradine, ricoperte di lanterne e luci natalizie, con addosso il giubbotto e con il vapore che usciva dalla bocca mi sembrava di essere capitato in un classico paesino di montagna in Italia, dove dalle finestre delle case e dei locali usciva luce calda e le cui strade invase di gente erano avvolte da colori che mi ricordavano tanto i giorni che precedono il Natale. Quel paesino mi piaceva davvero tanto.

22 Novembre 2015

L'idea era quella di spendere ancora un giorno per provar a vendere la moto e al tempo stesso aver la possibilità di passare una giornata insieme a queste tribù; ma Sapa non offriva troppe opportunità per Trinh, il padrone successivo l'avrebbe trovato più facilmente ad Hanoi, dove arrivano le ondate di backpackers.
Avevo tempo ancora due giorni per farlo, o meglio, uno, il giorno successivo quando saremmo arrivati nella capitale vietnamita. Abbiamo deciso che per me ed Eliot sarebbe stato meglio non rischiare e prendere il pullman quella stessa sera in modo tale da arrivare ad Hanoi nelle prime ore dell'alba. Avrei voluto spendere molto più tempo in quella piccola città ma non potevo rischiar di lasciar Trinh senza un nuovo proprietario e soprattutto non aver un ritorno economico.

Ci siamo svegliati presto per vedere ciò che la città ed il circondario offrivano. Abbiamo fatto un'ultima uscita in sella alle nostre moto, mi si stava spezzando il cuore.
L'ho portata a lavare ed è tornata come nuova, come appena uscita dal concessionario, dopo tutto quello che aveva dovuto sopportare si meritava una bella seduta dall'estetista.




Abbiamo girato poi all'interno del mercato centrale dove era possibile trovare di tutto e di più, dal cibo, all'oggettivistica al vestiario fatto direttamente e sotto i tuoi occhi da delle graziose vecchiette che mi lasciavano esterrefatto non solo per la qualità del loro lavoro manuale ma anche per il loro inglese, eccellente. Qui ho acquistato uno zaino per sostituire il mio fedele zainetto azzurro della North Face che per anni mi aveva accompagnato lungo le mie avventure ma che arrivati a quel punto era proprio messo male, necessitava qualche rattoppo e soprattutto una bella lavata.





Abbiamo continuato la nostra giornata lungo le vie della città, tra shopping e brindisi immersi nella magia che questo paese sapeva regalare prima e dopo il tramonto. Ricordo benissimo i volti di ogni singola persona che ho fotografato, della bambina in cima a quel sasso, con quegli occhi invadenti che avevano tanto da raccontare, di quella signora addormentata sui gradini di quella strada con addosso il peso di uno zaino, della bambina che riposava tranquilla sul pavimento del mercato sopra quei vestiti che lei stessa doveva vendere; ricordo ancora le numerose mamme che sulla loro giovane schiena si caricavo del peso del loro bambino, gli sguardi innocenti e sorridenti delle ragazzine che portavano con sé il futuro di una popolazione felice.

 





















Tutto sorrideva, non solo i volti, non solo le bocche e gli occhi, qualsiasi cosa guardavo mi sorrideva; mi sorridevano i colori, le nuvole nel cielo, la pelle e la faccia sporca di quelle bambine, sorridevano i fiori e l'acqua che sgorgava dalla fontana, sorrideva anche il ciuffo d'erba nato in mezzo alla strada che nonostante tutto era lontano da quel verde giardino. Tutto sorrideva ed io sorridevo, mi sorrideva il cuore.





Quel cuore che quasi è scoppiato in un pianto quando ho allungato il mio zaino ad una ragazza che nel buio e nel freddo della strada vendeva i suoi prodotti con in braccio il suo bambino neonato. Gli ho detto che da quel giorno quello zaino sarebbe stato suo, era da lavare è vero, aveva bisogno di un paio di cuciture, ma per lei sarebbe stato un gioco da ragazzi, e soprattutto avrebbe avuto uno zaino originale e di qualità. Non scorderò mai il suo sguardo. Mi ha ringraziato e supplichevolmente mi ha chiesto di prendere quello che volevo dalla sua bancarella, le ho detto di no, mi ha allungato un semplice pupazzo fatto a mano, un portafortuna, ho sentito una fitta incredibile, era stato un gesto bellissimo.


Abbiamo fatto un ultimo brindisi prima di lasciar definitivamente questa paese per poi caricare le nostre moto su quei pullman notturni che ci avrebbero portato fino ad Hanoi.
Dovevamo essere tutti su un unico ma alla fine ci hanno divisi. Romi ed Eliot da una parte e io e Jakob su un altro. Le nostre due moto erano al sicuro nel portabagagli, riposte come sempre "con cura" e prive di benzina. Una volta caricate ci han fatto segno di salire su un altro pullman, cosa? Mi son rifiutato, non avrei mai lasciato incustodite le nostre moto, mai. Alla fine ho convinto l'autista a farmi salire, c'era posto anche per Jakob ma non so per quale motivo è sceso ed è salito su un altro pullman lasciandomi in custodia anche la sua moto.

Questa volta ho trovato un posto sul fondo del pullman dove in una sorta di letto matrimoniale mi aspettavano altre due ragazze tedesche, per fortuna qualcuno con cui parlare; tempo due minuti erano già sotto le coperte con tanto di mascherina davanti agli occhi, grazie per la compagnia! Sapevo già che sarebbe stata una notte infernale, tra gli sbalzi di temperatura di un pullman carico di persone e l'aria condizionata che andava e veniva. Non vedevo l'ora di arrivare ad Hanoi.

23 Novembre 2015

Erano le 3.30 del mattino quando il pullman si è fermato nella capitale ancora avvolta nel buio. Le temperature erano decisamente diverse da quelle di Sapa, il caldo era soffocante con livelli di umidità alle stelle; alla fermata non c'era ancora nessuno, ero arrivato per primo. Da solo, insieme a Trinh e alla moto di Jakob ho atteso l'arrivo degli altri bus. Dopo una ventina di minuti è arrivato un altro pullman ma dei miei compagni non c'era traccia, strano mi ricordavo ci fossero tre pullman e noi li avevamo occupati tutti. Alle quattro è arrivato anche l'ultimo, nel bagagliaio c'erano le moto di Romi ed Eliot i quali dopo pochi minuti son scesi anche loro con una faccia addormentata, all'appello però mancava come sempre Jakob. Dove cavolo si era cacciato? Non sarebbero arrivati più pullman eppure tutti dovevano fermare in quel preciso punto.
Dovevamo anche trovar un benzinaio per riempire nuovamente i serbatoi delle nostre moto.
Dopo qualche minuto Eliot è tornato con in mano due bottiglie di plastica colme di benzina che abbiamo saggiamente diviso in quattro. Era inutile aspettare Jakob, appena avrebbe avuto un wi-fi ci avrebbe risposto, confermandoci la sua posizione.
Abbiamo legato la sua moto proprio nel punto in cui siamo scesi mentre noi ci siamo diretti alla ricerca del nostro ostello.

A quell'ora la capitale dormiva ancora, le strade erano quasi deserte ma già mi immaginavo come si sarebbero presentate da lì a poche ore, peggio di Hô Chì Minh.
In ostello siamo riusciti a trovar una stanza da quattro solo per noi, quella sarebbe stata l'ultima volta tutti insieme prima della mia partenza il mattino seguente.
Dovevo assolutamente mettermi all'opera nella vendita di Trinh, avevo meno di 24 ore per farlo e non volevo arrivare a svenderla ad un rivenditore locale… la mia moto l'avrei passata ad un altro backpacker.
Come succedeva in Australia per i van e le macchine all'interno degli ostelli le bacheche erano tappezzate di annunci di vendita o di cercasi moto; io ed Eliot in pochi minuti abbiamo tirato fuori quello che sarebbe stato il nostro annuncio. Trinh l'avevo acquistata per 250$, provavo a rivenderla per 260$.


Nel frattempo erano arrivate notizie di Jakob… non si sa come era arrivato dalla parte opposta di Hanoi, tutte a lui. Era già mattina inoltrata, l'ho fatto montare sulla mia moto e con lui siamo andati a riprendere la sua. La città era già intasata, era da tanto tempo che non ci ritrovavamo infilati in un traffico del genere; motorini ovunque, sorpassi da destra, da sinistra, clacson, ingorghi agli incroci e un'infinità di sensi unici.
In qualche modo sono arrivato fino al punto in cui ci aveva lasciato il pullman o almeno quello mi sembrava, ma la moto era sparita! Ero sicurissimo di averla lasciata lì ed ero anche sicuro di essere nel punto giusto… ho preso come riferimento lo stradone e quel cavalcavia alle nostre spalle che quel mattino stesso avevo notato. Forse eravamo andati un po' troppo avanti; ho fatto marcia indietro, guidando contro mano in una strada su tre corsie, senza ovviamente crear troppo panico. La moto fortunatamente era ancora là come e dove l'avevamo legata.

Siamo ritornati in ostello dove per me e Eliot è iniziata la giornata in giro per gli ostelli a lasciare i nostri annunci e a fermare i ragazzi davanti alle bacheche. Più passavano le ore e più l'ansia saliva, dovevo riuscir a venderla prima di quella sera.
Nell'attesa abbiamo fatto quattro passi per la città che con il suo smog, il suo caos e il suo trambusto mi era subito entrata in odio. Avevo capito che era proprio giunta l'ora di tornar in Australia… non vedevo l'ora di abbandonare quella metropoli.
Solo un signore italo americano è venuto a provar la mia moto, mi avrebbe fatto sapere quella sera e nel frattempo la sera si avvicinava così come le ultime ore tutti assieme.

Senza accorgermene erano già le otto di sera, altri ragazzi sono venuti a vedere le nostre moto che nel frattempo erano diventate inseparabili anche nella vendita. Le migliori offerte sembrava riceverle solo Eliot. E poi quando tutto sembrava finito, quando ogni speranza di passarla ad un altro backpacker a buon prezzo piuttosto che lasciarla ad un rivenditore vietnamita era svanita, Eliot ha fatto il colpaccio. Un ragazzo olandese era intenzionato a comprar la sua moto per 230$ al posto di 250$, gli ho detto di accettare… la sua risposta è stata <<Frieda non andrà da nessuna parte senza Trinh, ho convinto il ragazzo ad acquistarle entrambe per 215$ l'una>>, l'offerta era stata accettata. Stavo per commuovermi, quello era stato un vero gesto da amico, le nostre moto insieme fino all'ultimo e insieme anche dopo.

Ci siamo presentati davanti all'ostello dei due ragazzi olandesi, un'ultimo controllo e poi quella mazzetta di contanti nelle nostre mani. Abbiamo preso una birra e ce la siamo gustata insieme a questi due ragazzi. Ero contento per essere riuscito a recupera gran parte dei soldi ma al tempo stesso mi si stava spezzando il cuore all'idea di lasciare la mia compagna nelle mani di uno sconosciuto che fino all'ultimo sembrava essere titubante… a me Trinh mi aveva conquistato fin dall'inizio e forse anche per quello non mi aveva mai tradito. Volevo piangere quando per l'ultima volta mi son seduto sulla sua sella e con la mano tremante ho consegnato le chiavi nelle mani dell'altro ragazzo, di cui non ricordo nemmeno il nome. Addio Trinh, buona fortuna per tutto e mi auguro di poterti guidare di nuovo in un futuro… se mai dovessi tornare in questi posti farei di tutto per ritrovarti.

A distanza di quasi un mese dalla mia partenza dal Vietnam, ho ricevuto un messaggio da parte di Romi che ancora oggi è in giro per il Sud-Est Asiatico: <<Ragazzi, ho rivisto Trinh e Frieda… erano proprio loro, stanno ancora insieme e insieme stanno attraversando quelle strade che abbiamo battuto assieme>>, non ci volevo credere, non si erano ancora separate!

Siamo tornati in ostello estasiati, eravamo al settimo cielo! Tutto era andato secondo i piani, le moto erano state vendute, io avevo riavuto i miei soldi e potevo saldare i miei ultimi debiti con i ragazzi che nel frattempo mi anticipavano ancora i soldi dopo la sventura della carta di credito. Ho ringraziato a più non posso Eliot, se ero riuscito a venderla era solo grazie a lui!

Ora non avevo più ansie e problemi, l'unico pensiero da quel momento in poi era di godermi fino in fondo l'ultima sera in Vietnam, l'ultima sera con i miei compagni di viaggio, la mia piccola famiglia. Brindisi su brindisi fino a tarda notte nei locali di Hanoi tra risate, emozioni e abbracci. Stava finendo tutto…
Siamo rientrati in camera alle tre del mattino e alle sette avevo il taxi che mi avrebbe accompagnato fino all'aeroporto. Eravamo esausti, ci saremmo salutati meglio al mio risveglio; mi avevano pregato di svegliarli ma non l'ho fatto… dormivano così bene e c'erano andati giù pesanti quella notte, non volevo disturbarli; era bello andar via così… nel nulla senza l'angoscia di un addio e le emozioni di un ultimo saluto. I miei zaini erano pronti, mi son fermato sulla soglia un'ultima volta, ciao cari amici, mi mancherete, grazie di tutto e soprattutto grazie per avermi fatto compagnia in questo lungo viaggio; vi ringrazio per essermi stati vicini, per avermi cacciato in brutti guaii, per avermi fatto passare momenti indimenticabili, per avermi aiutato con i problemi di soldi, per avermi sopportato e per esservi fatti sopportare, per aver reso questo mio viaggio unico che senza di voi non avrebbe avuto nessun altro a raccontarlo, grazie per essere stati la mia piccola famiglia in questi venti giorni, grazie davvero. Ho chiuso la porta e son corso giù.

Il cielo era cupo e Hanoi era coperta dalla foschia. Son salito su quell'aereo e ho chiuso gli occhi, ero esausto… questa volta non era più un Good Morning Vietnam, era giunto il momento di dire Good Bye Vietnam; non so perché ma un giorno o l'altro sento che ci rivedremo.

Non c'è cosa che non puoi portar a termine né impresa che non puoi superare; se ci credi e hai speranza, da solo o con gli altri, quella meta prefissata e tanto attesa la raggiungerai sempre, niente è impossibile e la rinuncia è solo per chi non ha fede in sé stesso. Io fino alla fine non ho mai dubitato di me stesso.

Questa è una delle tante cose che mi ha insegnato il Vietnam.