mercoledì 9 marzo 2016

Good Morning Vietnam - Part 3

9 Novembre 2015

Quella mattina ci siamo svegliati presto senza il tradizionale pensiero di dover saltar nuovamente in sella alle nostre moto; sarebbe stata una giornata relax, immersi completamente nell'ozio.
Ho abbandonato Eliot in ostello mentre il resto della ciurma si era recata in ospedale per far curare le vecchie ferite riportate che stavano davvero diventando brutte, evitando fortunatamente il rischio di una non lontana infezione.

Finalmente eravamo tornati sulla costa e il mio primo pensiero della giornata è stato di immergermi nelle fresche acque del mar di Hội An. Ho ripreso di nuovo in mano la moto, ma questa volta per solamente dieci minuti. Occhiali da sole, infradito e canottiera, quella mattina c'era un sole pazzesco, mi sarei letteralmente disteso sulla sabbia a bruciare per ore, solo per sentire nuovamente il calore del sole sull'intero corpo.

Il mare era pulitissimo e la spiaggia non era per niente affollata. Avrò passato qualcosa come trenta minuti immerso nell'acqua che a poco a poco stava ricaricando le mie batterie. Avevo bisogno di sentirmi avvolto da quella miscela di ossigeno e idrogeno. Avevo davvero tanta nostalgia dell'Oceano e di Byron Bay. Più rimanevo sott'acqua senza respirare e più i miei polmoni si riempivano di ossigeno, di vita. Il respirar fuori dall'acqua mi soffocava. Non riuscivo a tornar a riva. Ogni volta che tornavo all'asciugamano non passavano dieci minuti che ero di nuovo in piedi pronto per rientrar in acqua.
Quel giorno faceva davvero caldo e il cielo era azzurrissimo. In quel preciso istante volevo essere di nuovo in Australia. Mi sono sdraiato sul bagnasciuga tra il flusso costante dell'onda infranta che sale e scende. Lì ho chiuso gli occhi e ho lasciato che ha guardare e ad ammirare il panorama fossero le mie orecchie. Avevo bisogno di sentir il suono delle onde, della sabbia che scivola verso un mare che la tira verso di sé; avevo bisogno di toccar quei granelli di sabbia soffici e quei cristalli di sale che si fermano tra i capelli.







Ero di nuovo in piena forma. Son tornato verso il centro e lungo il ritorno non ho potuto a far meno di imboccare quelle stradine in mezzo alle risaie che la notte prima erano solo delle lingue chiare in un mare nero. Era uno spettacolo indescrivibile. Le risaie erano colme d'acqua e i colori vivaci di ciò che le circondava riflettevano sulle loro superfici.
Una rete infinita di stradine larghe poco più di due metri che si diramavano in queste lucide distese. Avrei proseguito fino a perdermi se non fosse stato per quell'immenso bufalo immobile in mezzo alla strada. Non so perché ma il suo sguardo fisso mi aveva messo paura; era davvero grosso e sinceramente non volevo scomodarlo.









Son tornato dai ragazzi, dove tra una birra e l'altra, abbiamo trascorso il resto del pomeriggio nella piscina dell'ostello. A cena siamo andati a mangiare quella che tristemente definirei una pizza. Vi dico solo che sul menù ce n'era una che si chiamata Val Sesia: "dal nome di una bellissima valle in Italia nei pressi delle Alpi, da dove proviene il nostro pizzaiolo" - Pomodoro, Mozzarella, Pomodorini a fette e Olive (una vera pizza montanara). Volevo conoscere questo "pizzaiolo" dalla Val Sesia, che guarda a casa quel giorno non lavorava. 


Dopo la Val Sesia, abbiamo deciso di far tappa alla città vecchia di Hội An, patrimonio dell'umanità, ad ammirare le famose lanterne e luci della zona vicina al fiume. 
Qui sono numerosi i negozi dove è possibile farsi fare vestiti su misura e non solo, non per caso ad Hội An, i prodotti artigianali locali attraggono ogni anno numerosi turisti da tutto il mondo. E forse anche per quello, a differenza di altre località del Vietnam, Hội An all'apparenza è molto elegante, pulita e mi permetterei di dire quasi finta, dove tutto è impostato e le vetrine dei negozi sono pressoché identiche.
Ma Hội An a mio avviso resta per eccellenza la Città delle Lanterne; la prima volta in cui percorri le sue strade non puoi far a meno di notare le migliaia di lanterne e luci distribuite un po' ovunque tutto intorno. Ovviamente il loro spettacolo lo regalano soprattutto alla sera, scaldando l'ambiente circostante, rendendolo magico, suggestivo e inesorabilmente romantico.
Questo suo volto serale mi ha lasciato a bocca aperta. Hội An tutto ad un tratto aveva preso vita e le strade erano ricoperte di turisti e ragazzi da tutto il mondo. È stata una serata molto divertente che ci ha visto finire in un disco-pub insieme a tutti i backpackers presenti nel paesino. Una parola, Crazy!



10 Novembre 2015

Siamo tornati tutti K.O. Non si sa bene come fossimo tornati tutti quanti in stanza la sera precedente, ognuno aveva una versione diversa. Ci siamo svegliato quando oramai avevano già sgomberato tutto il buffet della colazione. 

Dopo aver portato la moto dal meccanico per una sistemazione alle luci ed un cambio d'olio, siamo tornati a pranzare nel simpatico ristorante del giorno precedente, quello dove un cartello all'ingresso confortava tutti i turisti australiani: Aussie we have Vegemite and Marmite (sostanze con cui crescono… come noi germogliamo con la Nutella, loro si formano con questa crema salata fatta di estratto di lievito).

Il programma della giornata sarebbe stato quello di visitare la città vecchia con i suoi vicoli e il mercato, il tutto su di una bici presa a noleggio.
Ci siamo infilati praticamente in tutte le vie, costeggiando anche il fiume. Anche qui a predominare erano i contrasti e i riflessi sugli specchi d'acqua. Hội An di giorno era un mix di  colori vivacissimi dovuti dalle numerose lanterne appese lungo le strade e fuori dalle vetrine dei negozi, dalle tradizionali barche in legno e dalle sfumature calde delle case lungo il corso d'acqua.









Il mercato era una cosa enorme, c'era la zona pesce, la zona frutta e verdura, la zona carne e la zona artigianato. È qui che mi sono staccato dai ragazzi. Mi sono fermato in mezzo alla strada e ho incominciato ad osservare, ho incominciato a fotografare.
Non c'erano solo una miriade di prodotti su quei banchi e sotto quei tendoni, oltre agli odori e ai colori c'era molto di più: volti ed espressioni che hanno catturato la mia attenzione.
Non c'era posto migliore per immortalare qualche scatto indimenticabile; nella confusione e nel via vai di gente, il mio teleobiettivo passava praticamente inosservato.
Benvenuti al mercato di Hội An.












Nel tornare mi son fermato davanti ad un negozietto minuscolo, un parrucchiere. Al suo interno c'erano più o meno sei persone, si sono voltate tutte guardandomi con aria soppresa. Sono entrato e si è creato il silenzio. Il barbiere ha interrotto il suo lavoro e tutti si son voltati verso di me. <<Vorrei tagliarmi i capelli>>.
A quanto pare non avevano mai avuto un cliente straniero! Mi son seduto e con gesti e parole in inglese gli ho fatto capire quale taglio volevo.
È stata un'esperienza indimenticabile registrata totalmente in un timelapse. A sorpresa quasi tutti parlavano inglese; li ho raccontato della mia storia, dei miei due anni in Australia e del viaggio che stavo facendo nel loro Paese. Gli ho raccontato dell'Italia e ovviamente di calcio, dato che di Milano conosco solo le sue squadre. Alla fine con un prezzo a dir poco ridicolo sono uscito con un taglio perfetto, proprio come volevo io.




Con Romi ed Eliot abbiamo preso le moto e siamo andati a goderci le ultime ore di sole al mare. Bello come sempre, in quelle acque che in pochi minuti avevano assunto un color oro. Con loro son tornato in ostello, ho ripreso in mano la bicicletta e munito di macchina fotografica sono tornato di nuovo in mezzo alle risaie del giorno precedente.



Dovevo assolutamente immortalare quell'istante e registrare tutte le tonalità di quei colori che passavano a poco a poco dal caldo del giallo intenso al freddo del viola e del blu.
Lui era ancora lì, il bufalo. Questa volta non mi sono lasciato intimorire; ho preso la bicicletta e gli son passato davanti. Le strade continuavano a perdita d'occhio e in quell'ora lo spettacolo più bello sono state le mandrie di bufali che dopo un'ultima immersione nelle fangose acque del fiume ritornavano goffamente verso le loro stalle. 













Quella sera abbiamo fatto ritorno nuovamente nella città vecchia ma questa volta con me avevo la mia macchina fotografica. Anche qui mi son fermato sul ponte principale e mi son fermato ad osservare tutte quelle minute anziane che instancabilmente cercavano di vendere le loro lanterne di carta da accendere e abbandonare delicatamente sulla superficie dell'acqua dopo aver espresso un desiderio. Al momento giusto il fiume si riempiva di queste fiaccole dai mille colori creando una lingua di fuco, che insieme alle lanterne lungo le vie dava un tocco magico e surreale a questa cittadina di porto, animando le sue strade colme di turisti e di gente locale.
Hội An era davvero bella, aveva davvero un volto affascinante e accogliente, che si rispecchiava nel volto della gente e degli anziani che vi ci abitavano.
















11 Novembre 2015

La sveglia quel mattino è suonata alle 3.30. Davanti a noi avevamo ben 350km, questa volta mi sono imposto… non volevo viaggiar nuovamente avvolto nella notte.
Le nostre moto erano pronte e ci aspettavano fuori nel cortile dell'ostello. Era ancora buio pesto e l'aria era piuttosto fredda. Abbiamo scaldato i motori, siamo saliti in sella e tempo due secondi ha incominciato a piovere. Iniziavamo bene!

Dopo neanche venti minuti di marcia siamo arrivati all'incrocio con la strada principale lungo la costa ed è lì che è saltato fuori un altro inghippo. A Romi le si era spenta la moto e non c'era più modo di accenderla.
Sono sceso da Trinh, la sua moto non dava segni di vita. Ho aperto il serbatoio ed era secco!
L'ho guardata e le ho detto… <<Romi l'hai chiusa la levetta della benzina?>> Ogni volta che si fermava doveva chiudere la levetta se no le perdeva il serbatoio, un difetto non da poco, ma a cui lei non dava tanto peso. Insomma, era rimasta a secco. Ho piegato la moto per far scendere completamente tutta la benzina all'interno del tubicino e tempo due secondi è ripartita, il problema era quello.
In quell'istante è apparso l'angelo custode. Alle quattro del mattino ci eravamo fermati davanti a una bottega (ovviamente chiusa), ma in quell'istante è uscito un signore e senza farlo apposta aveva un "specie di pompa di benzina" all'interno del negozietto. Abbiamo messo dentro un litro giusto per arrivare fino al prossimo benzinaio.

Dopo aver fatto il pieno a tutte le moto siamo ripartiti immersi nel buio dell'autostrada priva di mezzi. In quel momento c'eravamo solo noi, o forse no. A quell'ora sul bordo della strada c'erano un sacco di persone che correvano. Sì ma persone anche di una certa età, che correva in jeans e ciabatte. A mano a mano che si faceva più chiaro, le persone aumentavano ed era buffo vedere quante persone fossero intente a far attività sportive, jogging e meditazione a quell'ora del mattino. Una faccia del Vietnam che non avevo ancora avuto modo di vedere; e io che li pensavo pigri e sedentari.  

Tra pioggia e sprazzi di luce alla fine a poco a poco si è fatto giorno e dopo aver superato i grattacieli di Đà Nẵng, il sole ha fatto il suo ritorno. O meglio, eravamo tornati nuovamente a costeggiare il mare, era l'alba e noi stavamo guidando sul lungomare, ma non ci bastava, l'alba e quel momento volevamo goderceli lungo e in cima al Hải Vân Pass, che era lì a due passi. La strada ha iniziato a salire e i tornanti ci portavano sempre più su, lungo questo famoso passo di 21km tra le montagne e le strade a precipizio sul mare; quella strada nota anche per il programma televisivo Top Gear.


Ed è proprio in cima ad uno dei suoi strapiombi che abbiamo trovato uno stupendo baracchino con una vista mozzafiato. Sorgeva proprio sullo scorcio più suggestivo della baia; a gestire quel bar improvvisato con una tettoia, quattro siede e dei tavolini erano una vecchia coppia con un bambino piccolo.
È stata la colazione più bella della mia vita: noodles con uova, accompagnati da una tazza di caffè con latte condensato, il tutto davanti a quel panorama. E proprio lì, appena sotto ai tavolini, c'erano delle piccole scale che ti conducevano fino a una roccia sotto la quale c'era solo il verde infinito della foresta pluviale che si spingeva verso l'orizzonte fino a toccare l'acqua di quel mare che quel mattino si presentava piatto e silenzioso.
È stata un'esperienza indimenticabile, in un posto trovato per puro caso in compagnia di una piccola famiglia da incorniciare.














Abbiamo ripreso la marcia lungo il passo. Le strade erano perfette e il sole incominciava a diventar caldo; dopo due ore di marcia lungo discese e tornanti, siamo arrivati ad Huế, ritornando nuovamente in mezzo al traffico della città. Huế era l'antica capitale del Vietnam unificato dal 1802 al 1945 durante il regno degli imperatori. È famosa appunto per la cittadella imperiale a circa 5km dal centro della città, con numerosi monumenti dichiarati Patriomonio dell'umanità. Ci sarebbe stato molto da vedere ma non potevamo fermarci, ci mancavano ancora un sacco di chilometri a Phong Nha e dovevamo arrivarci assolutamente prima di sera.
Il caffè e il croissant nella pasticceria francese a Huế sarebbero stati l'ultima sosta prima della lunga tirata lungo lo Hồ Chí Minh Trail.







Una volta usciti dalla città ci siamo lasciati alle spalle anche i nuvoloni e la pioggia. L'arcobaleno in lontananza ha ridato vita e colori alla nostra marcia, i paesaggi son tornati nuovamente verdi e sconfinati, la musica ha ripreso possesso delle mie orecchie.
Abbiamo imboccato il vero e proprio Hồ Chí Minh Trail quando il sole era perpendicolare sopra le nostre teste… faceva un caldo assurdo. La strada era perennemente dritta, non c'era nemmeno bisogno di cambiare le marce, né di accelerare o decelerare. Non c'era anima viva, raramente si incontrava qualche villaggio o una presenza umana. Per ore ed ore ci siamo trovati in mezzo a questo paesaggio e sinceramente ci stavamo quasi addormentando sulla moto. I nostri fondoschiena erano a pezzi, spesso mentre guidavamo allungavamo le gambe o ci alzavamo in piedi per i fastidiosi crampi dovuti da una posizione che non cambiava mai.
Caldo, sole, secchezza delle fauci e stomaco che brontolava. Avevamo finito tutte le scorte di bere e mangiare e sulla strada non c'era traccia di mercatini, ristoranti o comunque sia di forma vivente.

Era già pomeriggio inoltrato e la luce si stava facendo più calda, quando i nostri occhi hanno scorto qualcosa tra gli alberi. Dai tavolini fuori nel pergolato, sembrava si trattasse di un ristorante. È uscito fuori un signore a cui abbiamo fatto capire che eravamo davvero affamati e assetati. Ci ha fatto capire che non c'era nulla da mangiare anche se i tavolini all'esterno dimostravano che quello era a tutti gli effetti un ristorante. Non aveva nemmeno dell'acqua ma solo delle dolcissime e soprattutto calde bibite in bottiglie di plastica.

Abbiamo preso qualcosa da bere riposandoci un attimo all'ombra degli alberi. Poi è uscita la moglie in compagnia di un simpatico bambino. Abbiamo chiesto anche a lei e ci ha fatto segno di sì. Ora avevamo capito, il marito non cucinava nulla, chi si occupava della cucina era lei. Ci ha preparato una zuppetta con noodles che in quel momento, sebbene il caldo atroce, ci stava a pennello. Ci ha portato anche dei frutti freschi appena raccolti dalla pianta, che da noi sinceramente non ho mai visto. Le "carambole che a mio giudizio non erano così male. Il sapore era quello di una prugna acerba.



Dopo quella pausa siamo ripartiti lungo quella strada chiusa tra gli alberi che non ti regalava nemmeno uno scorcio o un punto panoramico dove poter scattar una foto.
Ma a Phong Nha non mancava molto e ben presto lo si poteva capire dal paesaggio. Sono tornate di nuove le risaie, i villaggi e i bufali. Il sole stava oramai calando ma noi ce l'avevamo fatta, eravamo arrivati in tempo!
Un'insegna stile hollywoodiano ci ha annunciato il nostro arrivo al Phong Nha National Park dopo 350km sempre in sella alla nostra moto. Eravamo finalmente arrivati nel parco nazionale famoso per le caverne (tra cui la più grande al mondo) e le sue strane formazioni montagnose fatte di picchi oltre i mille metri di altezza che spiccano dal nulla di questa piatta valle tanto da essere paragonata (dai backpackers qui presenti) ai paesaggi di Avatar.













Easy Tiger Hostel, l'ostello che abbiamo trovato era davvero carino e a due passi dall'ingresso al Parco Nazionale. Eravamo tornati nuovamente immersi nel buio e nell'aria pulita dei monti, sopra di me potevo finalmente scorgere le stelle; mi mancava l'Australia e i suoi cieli di notte che più volte mi hanno accompagnato verso casa dopo una serata di lavoro e non. Piccole cose ma che a volte mi davano nostalgia di "casa".

12 Novembre 2015

Era giunto il momento di inoltrarci all'interno di quel parco naturale stile Avatar o se volete Jurassic Park; con noi quel mattino si sono aggregati anche due ragazzi inglesi e due norvegesi, Daniel e Ane che per puro caso avevamo conosciuto a Đà Lạt, rivisto in un locale a Hội An e la sera prima in questo ultimo ostello; coloro che poi sarebbero diventati gli altri membri della famiglia.

È in questa precisa giornata che perderò tutti i video e le foto sulla GoPro del dì precedente e di questo. Un consiglio, non fidatevi troppo dei computer negli ostelli, di punto in bianco vi può succedere di perdere tutti i dati e quindi i momenti di un'esperienza intera, per fortuna nel mio caso si parlava di solamente due giorni, ma come leggerete dopo, probabilmente i ricordi più belli.

Ci siamo infilati lungo le strette strade di questa misteriosa giungla. La prima tappa è stata la Paradise Cave e il nome già diceva tutto, ma mai mi sarei aspettato di ritrovarmi all'interno di una tale paradiso.
Abbiamo dovuto camminare per qualche minuto prima di arrivar in cima al promontorio, lì dove una fessura nel terreno indicava la strada per Moria, una scalinata verso l'oscurità, verso gli abissi della montagna. Benvenuti alle Paradise Cave o meglio ancora Thiên Đường Cave.
La temperatura è calata drasticamente e lasciandoci la luce alle spalle, ci siamo incamminati sempre di più in profondità verso quella cattedrale di stalattiti e stalagmiti. Non volevo credere ai miei occhi. Ciò che avevo di fronte era indescrivibile. È bastata la prima colossale stalagmite per farmi staccare dal resto del gruppo; non riuscivo a camminare, le mie gambe erano come paralizzate, o meglio, i miei occhi. Mi fermavo ogni due passi ad ammirare queste creazioni della natura. 
I colori delle rocce e delle pareti erano indescrivibili, persino le svariate forme e dimensioni delle stalagmiti che poggiavano sul terreno e delle aguzze stalattiti che pendevano sopra la mia testa. Mi sentivo immerso in un mondo a parte.
E pensare che tutto ciò era stato scoperto solamente dieci anni fa, nel 2005, ed aperto al pubblico appena cinque anni fa, e che ciò che stavo ammirando non era altro che un minuscolo chilometro di una caverna lunga più di 31km, con le sue gallerie che arrivano a toccare anche i 100 metri di altezza e i 150 in larghezza.
Posso dire di aver fotografato ogni singolo scorcio di questa meraviglia che grazie alle lunghe aperture della macchina fotografica mi ha mostrato anche i suoi volti e colori nascosti dall'oscurità e dalle luci soffuse. Non so quanto tempo ho trascorso lì dentro, so solo che i ragazzi mi hanno aspettato fuori.
Ad un certo punto mi son trovato da solo in mezzo a questa caverna, non c'era più nessuno, niente più cinesi urlanti che di questo splendore si erano persi lo spettacolo più bello e più naturale… il silenzio. Ora che nessuno era più dentro, la caverna era tornata al suo stato puro, naturale; se prima mi sembrava immensa, ora lo era di più; era qualcosa oltre il silenzio, più di quello percepito in cima a Uluru in Australia. È in momenti come questi che si entra veramente a contatto con la voce della natura… con la sua voce muta. Ho interrotto questo silenzio con un ultimo scatto, prima di raggiungere i ragazzi e tornare nuovamente alla luce.





























Siamo tornati indietro verso un'altra grotta, questa volta meno affascinante dal punto di vista naturalistico ma sicuramente più invitante dal punto di vista del divertimento. Vi dico solo "bagno nel fango"; sì avete capito bene, quella cosa che si sogna fin da piccoli, gettarsi in un lago di fango con addosso i vestiti senza aver il pensiero di sporcarli, di tornar a casa e presentarti in quello stato, prendere le parole dai tuoi e passar il resto della settimana in castigo. Qui finalmente potevo realizzare quel sogno mancato, quel desiderio dell'infanzia riemerso dal mio inconscio.

Prima di entrare nella grotta abbiamo attraversato il fiume lungo una ziplane sospesi a trenta metri da terra per arrivare fino all'ingresso. Qui a nuoto siamo arrivati all'entrata principale, muniti solo di caschetto con luce da testa, corpetto salvagente e costume da bagno.
I cunicoli della grotta si son fatti sempre più bui e stretti al punto tale da dover camminare in fila indiana. A poco a poco che avanzavamo, le nostre mani affondavano nelle pareti, così i piedi sul fondale che si faceva sempre più umido e fangoso. Dal soffitto piovevano gocce d'acqua torbida, abbiamo incominciato a sporcarci a vicenda e a sfregarci lungo le pareti, ma quello che stava per arrivare la diceva lunga. In lontananza arrivavano altre luci, il gruppo precedente stava tornando verso l'uscita; una fila di corpi marroni ricoperti di fango dalla testa ai piedi che a vederli così sembravano degli Uruk-hai appena usciti dai camerini del Signore degli Anelli.
Ecco poi spuntare davanti a noi una montagna fangosa; dovevamo superarla, al di là di questa ci aspettava una pozza di fango naturale. Avevo il fango già fino alle ginocchia e a malapena riuscivo a muovermi. La guida ci aveva avvertito di non far entrare il fango negli occhi e nelle orecchie, come non detto. Io, il ragazzo norvegese e i due inglesi ci siamo lasciati cadere a peso morto nel fango. Era una pozza che avrà avuto una profondità superiore ai due metri, ma i nostri corpi non riuscivano ad andare a fondo. Il fango era così denso che ci galleggiavi dentro. È stato indescrivibile, in quei minuti avevamo perso improvvisamente vent'anni di età. Ci importava solo sporcarci sempre di più, arrampicarci sulle pareti e scivolare in mezzo a quel pantano da sogno, incuranti del fango nelle nostre orecchie (che mi è rimasto dentro per più di un mese) e del nostro costume che a poco a poco si impregnava sempre di più (ci son voluti un sacco di lavaggi per farlo tornare nuovamente "decente").


Ancora increduli di quello che avevamo appena fatto, siamo ritornati nel fiume dove ci siamo lavati da tutto il fango che ci aveva ricoperto e che si era infilato in tutti gli angoli e i "buchi" del nostro corpo. Siamo ritornati all'esterno alla guida di un kayak su cui abbiamo percorso un tratto del fiume fino all'ultima stazione, quella dei tuffi e del percorso di forza sospeso sul fiume portato a termine con gran successo.

È stata una giornata indimenticabile, ma che purtroppo, per la perdita dei video, sarà difficile rivivere. Nel buio siamo ritornati fino all'ostello dove ad attenderci con in mano una birra c'erano Romi, Eliot e Jakob che avevano saltato questa ultima attrazione causa bende e ferite da tener a bada.

13 Novembre 2015

Era l'ultimo giorno a Phong Nha prima della partenza in notturna verso Ninh Bình; ma questa volta non sarebbero state le nostre moto a portarci fino a là, ma bensì un night bus, un pullman. Su consiglio di Max, il ragazzo che mi aveva venduto la moto, avevo deciso di saltar questo lungo tratto, risparmiando tempo e chilometri, il tutto portandomi appreso anche la mia moto. Già, qui oltre allo zaino nel portabagagli ti possono mettere anche la moto, ovviamente pagando un surplus.
Quindi in attesa della sera, avevamo tutta la giornata a disposizione per un ultima visita al parco.

Altro giro altra grotta, questa volta su una simpatica barchetta in compagnia di un padre e un figlio che ci hanno accompagnato lungo il fiume Sông Con fino all'ingresso di un'altra caverna.
Siamo rimasti a bordo della barchetta che si spingeva sempre di più all'interno della cuore della montagna spinta dal remo del giovane ragazzo in piedi sulla prua.
Anche qui i colori e le formazioni rocciose mi hanno ributtato di nuovo all'interno della Paradise Cave. I soffitti sopra di noi sembravano usciti dalle mani di un Bernini, le imponenti colonne da un Michelangelo e l'eleganza delle stalattiti da un giovane Canova.
Poi siamo tornati con i piedi sulla terra ferma dove un ultimo percorso in mezzo a queste meraviglie ci ha portato all'uscita della grotta.






















Il pomeriggio l'abbiamo trascorso interamente in sella alle nostre moto, perdendoci lungo le strade di questo parco, inoltrandoci lungo le scarpate e i tornanti fino a quando il sole ha fatto capolino dietro le montagne. 








Era ora di rientrare in ostello, far una doccia, preparare gli zaini e le moto e lasciare questo fantastico posto. Sulla strada di ritorno è stato emozionante incrociare tutti quei bambini in sella alle loro enormi biciclette, vederli guidare i bufali lungo la strada e sorridere al nostro passaggio. Ricordo ancora quel bambino, l'ho visto in lontananza apparire sul ciglio della strada appena ha udito il rombo delle nostre motorette; le nostre distanze si accorciavano sempre di più, ho lasciato la mano dall'acceleratore, ho teso il palmo della mano verso il bordo della strada e a quel segnale il bambino ha fatto altrettanto. Un batti cinque in corsa che a lui ha regalato un'emozione infinita e a me un sorriso al cuore che mai scorderò. 








In queste caverne e in questi posti ho lasciato una parte di me, ma in cambio ho ricevuto molto e di ciò ne farò tesoro. Un unico rimorso, non aver visitato la grotta più grande al mondo, che richiede permessi, una prenotazione di almeno due anni prima e soprattutto una cifra esorbitante. Forse è stata la cosa più intelligente che potevano fare… in questo modo non saranno numerosi i piedi che calpesteranno il suo interno rimasto incontaminato fino al 2009, anno in cui è stata interamente esplorata da un gruppo britannico di speleologi.  

Abbiamo dovuto prendere due pullman diversi. Io e Jakob, Romi ed Eliot, ci saremmo rivisti a Tam Cốc nella regione di Ninh Bình il mattino seguente. Le nostre moto, dopo essere state prosciugate, sono state distese "delicatamente" sul fondo del pullman occupando metà portabagagli.
Non ero mai salito su un pullman notturno e sinceramente per uno alto come me, non sono il massimo della comodità. Sono composti da tre file di seggiolini a castello reclinabili dove è possibile infilarsi dentro e son muniti di coperte e cuscinetto. Sarebbe stato comodo se solo li avessero fatti anche a misura europea. 



Avrò chiuso occhio un'oretta in quel viaggio durato più di nove ore. Non vedevo l'ora di arrivare a quella destinazione raggiunta solo alle cinque del mattino quando fuori era ancora buio. L'ostello ha tardato a farci entrare, trovandoci dei letti liberi solo dopo aver cacciato gli dipendenti che ci riposavano indisturbatamente.
Tutto seguiva i piani: eravamo io, Jakob, Daniel e Ani e un'altra ragazza inglese, Alice, che nel frattempo si era aggiunta al gruppo.
Entrambe i pullman erano arrivati, ma all'appello mancavano Elliot e Romi.

<<Ragazzi, siamo arrivati ad Hanoi, ci siamo addormentati e siamo arrivati fino al capolinea>>